MA L’AVVOCATESSA DEL PROCESSO GRILLO PIACE ALLE FEMMINISTE?

E’ il processo dell’anno: il figlio di Grillo e i suoi amichetti alla sbarra con l’accusa di aver violentato una ragazza nella villa in Sardegna. L’avvocata Antonella Cuccureddu, che difende uno degli amici, Francesco Corsiglia, sa che tutta Italia la guarda. E chiunque sa che certi processi fanno svoltare, possono aprire un futuro di titolazioni roboanti e di inviti in tv. La macchina della notorietà, il business della giudiziaria, ormai funziona così e non bisogna farsi sfuggire l’occasione d’oro.

La legale deve interrogare in aula la ragazza, non si fanno prigionieri, perchè non si dica che la principessa del foro si lascia impietosire dalle circostanze. Bisogna approfondire il rapporto sessuale tra la ragazza e il suo assistito, bisogna dimostrare che lei era consenziente.

A fine lavori, fuori dall’aula, chi era dentro parla di giornata pesantissima. L’avvocata si prende la scena e spiega come si lavora a certi livelli. Il rispetto, il pudore, la delicatezza su certi argomenti? L’impressione che lei con le sue domande sia sembrata decisamente troppo?

«Discutiamo di una violenza sessuale e non c’è niente di intimo in una violenza sessuale», la prima gelida considerazione.

Nemmeno se le domande rischiano una nuova vittimizzazione della ragazza?, le chiedono.

Risposta: «La vittimizzazione parte dal presupposto che ci sia una vittima, e il processo si fa per accertare se c’è una vittima».

Quindi lei non vede nessuna forzatura nel chiedere alla ragazza dettagli tipo: «Perché non era lubrificata?», «Come ha fatto Corsiglia a togliere gli slip?», «Perché non ha urlato?», «Perché non ha usato i denti?», «Lei ha sollevato il bacino?».

Ancora, da vera professionista: «Faccio domande su dichiarazioni che non tornano».

E alla fine dispensa pure ai giornalisti una spiegazione squisitamente tecnica: «Mi creda, non si può obbligare una donna a un rapporto orale — e non le specifico come possa difendersi —, a meno che non abbia una pistola puntata alla tempia».

Grande avvocato, forse. Grande donna, forse. Ma a me il dubbio rimane: se stessimo parlando di un avvocato maschio, con le stesse domande in aula, con la stessa sensibilità umana, cosa diremmo. E già che ci sono: dove sono in giornate come questa tutte le donne arrabbiate contro il sessismo e il patriarcato, e con loro gli uomini che fanno sponda?

Non sto qui a dire che le donne, quando vogliono, quando vogliono essere competitive e imporsi, non hanno niente da imparare dai maschi. Sono qui soltanto a dire che uomo o donna, quell’avvocato ha affrontato il suo compito e il suo ruolo senza minimamente tenere conto della ragazza che aveva davanti, dell’essere umano che aveva davanti.

Puoi essere un drago come avvocato, ma se questo significa camminare sopra le più elementari norme della pietà e della compassione puoi tenerti tutta la tua gloria. Quella ragazza è una donna, un essere umano. Ancora nessuno può dire se quella sera sia rimasta vittima di violenza nella villa di Grillo Junior: per dire questo deve finire il processo e bisogna emettere una sentenza. Già ora però si può dire che una vera violenza l’abbia subita al processo, e a infierire su di lei non era un maschio.

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