MA CHE RAZZA DI UOMINI SIAMO

Ogni settimana pubblico su tutti i miei profili social una vignetta umoristica, augurando “Buona domenica” ai miei followers. Stamattina ho postato due ragazzi che guardano le stelle e si interrogano con la domanda che ci attanaglia da millenni: “Siamo soli nell’universo?”. Nella seconda scenetta arriva un Ufo che risponde loro: “No, ma state sul culo a tutti”.

Mi ha fatto sorridere quando l’ho scovata, poi ho preso a contemplarla e non smetto di farlo. Esistono, gli alieni. E arriveranno. Non avranno bisogno, come abbiamo sempre temuto, inventato, in mille libri e in mille film, di annientarci. Perché dovrebbero? Può darsi che arrivando da altri pianeti, altre galassie, altri emisferi, non abbiamo bisogno di ossigeno, piante, acqua, aria, vento, sole, tramonti, terra, mare, fiumi, monti…

Quindi che se ne farebbero di un pianeta così ricco di cose delle quali non frega niente a loro e più niente nemmeno a noi, che su questo mondo ci viviamo? E perché dovrebbero sterminarci se già lo facciamo noi, da soli?

Incendiamo, inquiniamo, ammazziamo, ammorbiamo, soffochiamo: perché gli alieni dovrebbero perdere energie per qualcosa che sappiamo benissimo fare da soli?

Quello che ci riesce più facile è il genocidio, uno a caso, uno qualsiasi. Lo sappiamo fare benissimo, come sono certo nessun altro essere vivente nell’universo: stragi di animali, piante, ambiente, esseri umani. Fuoriclasse professionisti nel seppellire il benessere, la pace, la vita. Non ci basta mai niente, non ci serve nulla di indispensabile e combattiamo per il futile, per il troppo, per l’eccesso. Il puntiglio e l’orgoglio sono patrimonio di pochi, i valori stanno in ciò che sembriamo, in ciò che ci fa apparire e in effetti alla fine è così che siamo.

Scrivo su questa testata da due anni che ogni essere vivente della terra difende, protegge, migliora, abbellisce il suo habitat fatta eccezione per l’uomo. Dal Big Bang ai giorni nostri le bestie hanno fatto delle loro tane, dei loro nidi, delle grotte, delle caverne sul suolo e negli abissi, il rifugio sicuro in cui procreare e sopravvivere. L’uomo distrugge tutto senza distinzione, senza morale, senza pudore. E per uno che si impegna, ce ne sono un milione che se ne fregano.

Le bestie combattono, lottano e si aggrediscono secondo le regole della catena alimentare, secondo le regole dell’esistenza, per sete e per fame. Secondo regole, appunto. Regole naturali, regole fisiologiche, regole… Regole, e basta. Noi non ne abbiamo, di regole. Le abbiamo solo perchè possiamo aggirarle.

Il conflitto diventa una fazione, inesorabilmente, secondo l’unica regola che davvero conosciamo: il nostro ego. Se nasce il virus, nascono i no-virus. Se c’è un’aggressione, ci sono i “sì ma dov’eravate voi quando…?”. Se s’incazza la Russia, si incazzano i “sì, ma gli americani…”. Se esiste violenza sulle donne, alzano la mano quelli che “le minigonne”.

Il fatto è che hanno ragione e torto tutti, in questa democratica anarcoide su cui abbiamo costruito i nostri interessi e i nostri personalismi. Nessuno può smentire con certezza i complottisti, nessuno può affermare con certezza che Putin non è il solo, non è il primo e non sarà l’ultimo. Che prima c’era il Donbass anche se nessuno sapeva dove fosse e tanto meno cosa vi accadesse. Nessuno può smentire nessuno. Solo chi ha voglia di pace, chi avrebbe voglia di acqua sole vento albe tramonti, ha ragione. Ma che fa per difendere il patrimonio suo e quello di tutti? Cosa può rispondere a quell’Ufo che ci porta un messaggio disgustato dall’universo? Come ci impegniamo ogni giorno per evitare che i Putin del momento ci spazzino via sogni, ideali, futuro?

Riusciamo ogni tanto a piangere e a indignarci, a sventolare bandiere. Poi, tornando a casa, gettiamo il mozzicone dal finestrino e insultiamo quell’ebete che non scatta al verde del semaforo e siamo pronti a scendere dall’auto per gonfiargli il muso. E’ la regola del nostro cervello che ci guida, è la pochezza della nostra anima che ci impedisce, è la storia dell’uomo che fa degli umili gli eroi per il semplice fatto che sono pochi. Che sono nessuno.

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