L’ULTIMO TUTTOLOGO E’ BOTANICO (MA PARLARE PRIMA, MAI?)

Che io mi ricordi, erano gli anziani a sapere tutto, a parlare di tutto. In casa i nonni e al bar i pensionati, che si insultavano tra una briscola calata e un asso trattenuto, discettando della storia, della scienza, della politica. Nemmeno ai loro figli, che erano poi i miei genitori, lasciavano troppi spazio per le parole: “Taci tu” era l’intercalare più inflazionato a tavola. Era così perché noi degli anziani ci fidavamo, pensavamo che facessero sempre e comunque il nostro bene, anche quando dicevano qualcosa che suggerisse di compatirli con una smorfia, provocando generalmente un ceffone.

La tuttologia si è diffusa universalmente, elevando i giovani a grandi esperti (se cerchiamo un riferimento temporale) dopo le rivoluzioni studentesche: dal sesso libero alle droghe, dai diritti scolastici a quelli civici, dalla politica alla tecnologia, anche in famiglia fu disconosciuta l’autorità di chi aveva vissuto prima e quindi, naturalmente, sapeva di più. La parola ai giovani, compresi quelli dell’età di mezzo.

Abbiamo potuto toccare con mano l’esistenza di milioni di virologi, medici, scienziati a chiacchiere, durante il durissimo periodo della pandemia. Sono nate star televisive ad ogni latitudine, laureate del nulla cosmico, che spiegavano e spiegavano e spiegavano perché il pipistrello, perché il laboratorio, perché la fatalità, come affrontarlo – il virus – e come sconfiggerlo. I vaccini dalla A alla Z. Passeggiando a chiacchiere sui corpi delle tante persone perdute.

Ora si sono moltiplicati e sono cresciuti, i tuttologi professionisti del dilettantismo, svariando sulle strategie di guerra, la politica internazionale, l’ambientalismo, l’alta finanza, l’economia del Paese. Non sto neanche a citare la musica e il calcio perché in questi campi i dotti esistevano da decenni.

In settimana sono sbocciati i botanici. Non si soffermano sulle cause del tornado in Lombardia (segnatamente a Milano) o dei roghi siciliani: indicano le soluzioni.

Sotto ai post che documentano i danni creati nella mia città dal nubifragio di domenica notte, proliferano le critiche per la mancanza di potatura alta degli alberi più imponenti e sull’assenza di “messa in sicurezza” (con inferriate circolari, corde, puntelli di vario materiale e genere). Ho visto decine di piante spaccate in due dai fulmini come da una gigantesca accetta, querce sradicate come da un Gulliver feroce, le strade bloccate da tronchi rovesciati, ma la soluzione l’avevamo in casa, a portata di mano: i professori da tastiera, come un libero sportello della Protezione Civile.

La preghiera è che si facciano sentire per tempo, d’ora in poi, con tutti gli strumenti che abbiamo (che hanno) per prevedere in anticipo tutto quello che sta per accadere: virus, invasione russa, surriscaldamento del pianeta, energie rinnovabili, mercati, incendi, maltempo.

Per favore, non aspettate più a dirci in anticipo cosa fare, come agire: senza di voi brancoliamo nel buio, noi e i nostri nonni, per chi fortunatamente li ha ancora. Però provate a dire prima.

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