L’OSCENO CARDARELLI, SOLO LA PUNTA DEL NOSTRO ICEBERG SANITA’

Antonio Cardarelli è uno che ne ha viste un sacco, come è normale per uno nato nel 1831 e morto nel 1927. Per dire, è nato che l’Italia unita ancora non c’era ed è morto dopo la prima guerra mondiale, con Mussolini che già da un pezzo marciava, petto gonfio e cranio piallato, fuori come un balcone.

È stato medico e patologo di prim’ordine, è stato docente universitario, è stato senatore, è il minimo avergli intitolato un ospedale, e uno dei più importanti tra l’altro, a Napoli, ma punto di riferimento per tutto il sud Italia.

Nella tomba starà messo a pancia in giù, per non vedere quel che in questi giorni sta accadendo nell’ospedale che porta il suo nome. Nel Pronto soccorso (vedi foto), pazienti ammassati nei corridoi, attese infinite, rapporto medici-pazienti improponibile, distanziamento inesistente e accortezze igieniche ben oltre il livello di guardia.

A decorare il saporito manicaretto, medici che annunciano scioperi e dimissioni, più provocatori che effettivi immagino, ma indicativi di uno scenario indecoroso e allo sbando, clamorosamente inaccettabile al Cardarelli, ma punta dell’iceberg di una condizione generale della sanità italiana che, non suonasse ridicolo e paradossale, avrebbe bisogno di ricovero e terapia intensiva al più presto.

Non c’è ospedale o ambito medico italiano che non lamenti carenza di personale, mezzi e risorse in genere, e se le immagini del nosocomio napoletano rappresentano una raccapricciante cartolina del sud che nemmeno il governatore De Luca riesce a sminuire, il problema della sanità non risparmia neppure Lombardia e Veneto, le locomotive d’Italia.

Come evidenzia Luigi Mastrodonato su “Wired”, “dal Veneto che denuncia la mancanza di oltre mille medici, al buco di 20mila infermieri in Lombardia, ad annaspare è tutto il servizio sanitario nazionale, quello dove le 18 ore di attesa in un pronto soccorso sono la preview dei due anni che bisogna aspettare per poter fare una mammografia o un anno per le ecografie e le tac, come illustra Cittadinanzattiva nel suo Rapporto civico sulla salute <I diritti dei cittadini e il federalismo in sanità>, uscito proprio in queste ore. La conseguenza è che un cittadino su dieci in Italia rinuncia alle cure”.

Tutto questo dopo promesse, PNRR miracolistici, impegni e proclami programmatici intesi a rinnovare e rinforzare stabilmente la sanità italiana e, soprattutto, dopo una tragica pandemia che tutti sono convinti sia ormai alle spalle e, siccome tutto deve andare necessariamente bene, sarà l’ultima possibile, e se anche un’altra dovesse esplodere, ormai siamo tutti scafati e sappiamo come fare.

Avanti così dunque, l’ottimismo è il sale della vita, diceva quel tale e non solo lui. Purché, come sta accadendo, non finisca nel caffè.

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