LA ZETA TANTO NOSTALGICA DI ZAGAROLO

L’ultimo tango a Zagarolo è senza Franco e Ciccio, ma ugualmente surreale. Per celebrare la vittoria sovietica nella Seconda guerra mondiale, nel 2022 sui monti Prenestini (Appennino laziale, specialità culinaria l’abbacchio e non il boršc) il Pci locale – esiste ancora – ha pensato a un manifesto che neppure troppo casualmente occhieggia con devota partecipazione sportiva all’invasione russa in Ucraina.

Immediate le polemiche, la Z maiuscola è lì a evocare i carri armati di Putin, anche se obiettivamente il paese non potrebbe essere ribattezzato in tutta fretta Fagarolo o Tagarolo solo per far piacere a Enrico Letta e Beppe Severgnini.

La festa si tiene l’8 maggio nel piccolo comune alle porte di Roma, tutti gli happy few nostalgici del modernariato bolscevico sono in eccitazione e ancora di più lo sono i difensori dell’ortodossia atlantica, per i quali ogni Z maiuscola in questi giorni è una bieca provocazione

A far impazzire la maionese è stato per primo il senatore Vito Rosario Petrocelli, che il 25 Aprile ha augurato “Buona festa della LiberaZione” e poi si è barricato nella disciolta Commissione esteri da lui stesso presieduta, neanche fosse a Stalingrado davanti alla Wermacht di Von Paulus. Da lì la slavina non si è più fermata e i tifosi del professor Orsini hanno deciso di passare all’offensiva.

Stando a quanto afferma il Comitato centrale di Zagarolo, la festa è finalizzata a ribadire concetti legati alla tradizione politica del Pci, che accanto a gente seria come Antonio Gramsci ed Enrico Berlinguer ci ha regalato statisti stellati ancora sulla breccia come Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani e Vincenzo De Luca, il governatore sceriffo partenopeo soprannominato Pol Pot quando dominava la sezione di Salerno.

Uno scritto su Facebook fa capire molto di più sugli organiZZatori della celebrazione e attualizza qualche antico mal di pancia. Un ritorno a quel passato, per i nostalgici, servirebbe. Per loro la decadenza occidentale è un castigo di dio e non ha senso vivere “in un mondo in cui vige una narrazione unica nella quale vengono riabilitati opportunisticamente simboli e gesta dei nazifascisti, con una Nato e la UE che armano il Battaglione Azov, e che vede l’Italia in prima fila contro la Resistenza del Donbass e nell’invio di armi contro i loro alleati russi”.

Per chi non ha smesso di nuotare nel Rosso Antico la democrazia italiana resta un cruccio e l’alleanza con l’America è il peccato originale. C’è da capirli, troppo tempo è passato dalle gloriose invasioni dell’Ungheria, della Cecoslovacchia e dell’Afghanistan, dalla scarpa di Kruscev all’Onu, dai pellegrinaggi alla salma del compagno Lenin nel mausoleo omonimo, dai colbacchi elettrici, dai giri di vodka, dalle file per comprare un paio di scarpe. Il crollo del muro di Berlino ha fatto il resto, trasformando il profumo d’inchiostro de “L’Unità” nell’odore di salamelle alle feste medesime, ultimo cascame di un paradiso perduto.

In attesa di un documentario su Valery Borzov o sulle imprese dei Vopos (sparare alla schiena a chi tentava di scappare da Berlino Est, anzi da Pankow), oggi i neocomunisti si struggono per Putin. Che non è lo zar e neppure un fascistello qualsiasi come tendono ad accreditare i socialdemocratici da Wikipedia. Ma è l’ex capo del Kgb, l’erede naturale di Andropov e se ne andrà non quando lo dice Biden, ma (come i suoi predecessori) quando prenderà il raffreddore.

Davanti alla commozione del Pci di Zagarolo si spiegano facilmente gli insulti a Letta il 25 Aprile, il fastidio diffuso nei confronti delle armi agli ucraini e il pacifismo ambiguo che somiglia a una resa incondizionata davanti all’avanzata del ritrovato imperialismo post-sovietico. Nessun imbarazzo a sinistra. Eppure chi chiede due volte al giorno patenti di legittimità politica a Giorgia Meloni dovrebbe cominciare a fare i conti con la propria, di storia.

Quanto a “L’ultimo tango a Zagarolo”, ogni film ha la sua dignità. Noi debosciati occidentali, edonisti reaganiani, cresciuti a Coca Cola, jeans Levi’s e schitarrate dei Dire Straits preferiamo “La Corazzata Potemkin”. Che pur stando a galla più dell’incrociatore Moskva, come diceva Fantozzi rimane una boiata paZZesca.

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