L’INTRAMONTABILE ITALIETTA DEL “DOTTORE” SENZA LAUREA

Poi, dicono che il pezzo di carta non conta più nulla: che oggi, alla gente, interessano le competenze e non i titoli. Mica vero: dai tempi di Fantozzi e del suo megadirettore, che aveva fatto ragioneria, ma si spacciava per laureato, inventando massime latine a casaccio, come “Fortuna doces vat”, non è cambiato granchè.

Tanto è vero che un autentico megadirettore, ossia l’ineffabile Carlo Bonomi, presidente di Confindustria (NELLA FOTO), seguito a ruota dal suo vice, Alberto Marenghi, ha la bella abitudine di spacciarsi per dottore, senza esserlo. Così riporta per filo e per segno il “Fatto quotidiano”, di fronte alla concreta possibilità che il dottore senza laurea diventi presidente anche dell’università Luiss.

Sorvolo sulla figura meschina di un uomo molto in vista: vorrei, piuttosto, trarre dall’episodio, di per sé mignolo e squallido, un minimo di morale. Un titolo di studio, perlomeno in un Paese civile, dovrebbe indicare non soltanto competenze e sapere, ma abnegazione, fatica, raggiungimento di un risultato. Solo che, di questi tempi, parole del genere suonano di tolla: tutto si deve ottenere facilmente, senza il minimo sacrificio (vedi anche il successone delle università online,,,) e, se proprio non ce la si fa, si può serenamente imbrogliare per arrivarci.

Dunque, devono avere pensato i due top manager, se anche non mi sono laureato, cosa conta? Mi firmo dottore e morta lì! Tanto a chi vuoi che importi una laurea: l’università della vita è quella che fa testo. Sapersi arrangiare, saltare la coda, strizzare l’occhio: questo fa la differenza tra uno bravo e uno così e così: cosa volete che siano una ventina di esami o una tesi scientifica di mille pagine?

E tutto questo, lasciatemelo dire, è molto italiano: a un giapponese, per esempio, non passerebbe per l’anticamera del cervello. Solo da noi i parcheggiatori ti apostrofano con “Dottò” e la delicata apocope ci riempie di malcelato orgoglio. Solo da noi ci si vergogna di non essere arrivati alla laurea, ma la cosa si risolve millantandola e non riprendendo in mano libri e computer: non ti sei laureato? Capita! Vorresti esserlo, perché ti secca che i leccapiedi non possano chiamarti dottore? Studia, bello mio: non è mai troppo tardi!

Per carità, quello di Bonomi e di Marenghi è un peccatuccio veniale: ij confronto a certe gigantesche porcherie che circolano in quegli ambienti felpati, quella di fingersi laureati è davvero una colpa di poco conto. Ma la dice lunga sugli uomini: sulla loro tempra morale, per così dire.

Come quei politicanti che raccontano di avere fatto il paracadutista o l’alpino e che, invece, erano imboscati in qualche casermetta logistica, protetti da poderose raccomandazioni di altrettanto poderosi protettori. Uguale uguale.

Nella vita, ci sono certe cose che costano un pochino d’impegno, un tantino di abnegazione: sono esattamente quelle che ti forgiano e di cui puoi andare fiero, quando, alla fine della corsa, ripensi alla tua vita. Inventarsele è una cosa tristissima: un pessimo esempio. Oltre che un discreto insulto a chi, magari facendo una fatica bestiale, a quel traguardo ci è arrivato, con le proprie forze e che, per certo, non indossa completi da tremila euro né orologi che valgano quanto un appartamento.

Perché, intendiamoci, essere ricchi non è mica una colpa: se sei pieno di soldi, beato te. Ma se ti spacci, per soprammercato, per quello che non sei, allora sei davvero un ominicchio, di quelli di cui disserta Sciascia. E puoi presiedere tutti i CDA del mondo, tenere conferenze, apparire in televisione, ma non sarai mai il capitano della tua anima. Anzi, nemmeno il caporale.

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