L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE EQUIVALE I SENATORI (NON E’ CHE CI VOGLIA MOLTO)

“Signor presidente, onorevoli colleghi”. Fin qui, tutto bene e niente di nuovo. “Chiediamo al Governo di dare seguito agli impegni e di trovare una soluzione al più presto”. Didascalico, stringato, efficace, per essere un intervento nell’aula del Senato italiano, durante la discussione sugli accordi Italia-Svizzera.

In mezzo al discorso pronunciato da Marco Lombardo di “Azione”, qualche altro orpello e incisi qua e là per un breve monologo che in un tweet Carlo Calenda ha poi definito “impeccabile”. Subito dopo, Lombardo si congeda con la rivelazione: “L’intervento che avete appena ascoltato non è mio e nemmeno il prodotto dell’intelligenza umana”. Non so se un politico di “Azione” si possa definire “azionista”, o “colui che agisce” per dirla alla Treccani, fatto sta che il senatore in questione ha deciso di farsi interprete di un testo scritto ed elaborato da un algoritmo. Per la cronaca, si è trattato della prima volta in cui un parlamentare interviene in Aula con un testo redatto dall’intelligenza artificiale, ed è significativo che nemmeno un vecchio bucaniere come Calenda se ne sia accorto.

Del resto, come avrebbero potuto lui e tutti gli auditori? Primo, i canoni dell’oratoria politica restano evidentemente gli stessi anche se robotizzati. Secondo, forse – conoscendo Lombardo – qualcuno avrebbe al massimo potuto pensare a un ghostwriter, ma del resto è così per molti in Camera e Senato: si avvalgono di autori come Crozza o i comici di Zelig. Non ci si fa caso.

Decriptare il significato di questo episodio per certi versi storico, è esercizio che l’azionista Lombardo ha lasciato a noi: un esperimento? Un monito? Una provocazione? Di singolare c’è anche il fatto che – proprio in questi giorni – imperversa il dibattito degli scienziati mondiali sul tema dell’intelligenza artificiale (banalmente ribattezzata IA dagli addetti ai lavori o, all’inglese, AI che sta naturalmente per artificial intelligence), ossia la “disciplina che studia la realizzazione di sistemi informatici, in grado di simulare la capacità e il comportamento del pensiero umano”.

Tutta questa gente, Lombardo non l’ha affatto disturbata. Anzi. Annotano come “stimolare un confronto sul tema, sulla necessità di trovare un equilibrio tra opportunità e ripercussioni negative, non possa che essere una cosa giusta”.

Esiste un software che simula ed elabora le conversazioni umane, si chiama chatbot (fusione tra due vocaboli non casuale…). Uno dei padri del movimento, l’imprenditore informatico americano Sam Altman, CEO di OpenAI, è tra i firmatari di un documento pubblicato da “Center for AI safety” (Centro per la sicurezza dell’intelligenza artificiale), che costituisce un vero e proprio appello lanciato dagli scienziati americani, i quali invitano a considerare seriamente i potenziali rischi di un’evoluzione incontrollata dell’intelligenza artificiale, per cui – secondo una convinta estremizzazione dello stesso Altman – l’essere umano “rischierebbe persino l’estinzione”.

Ora. Il fatto che le migliori menti del mondo lottino strenuamente per dividere i confini tra intelligenza e scemenza umana, ci dà grande sollievo. Che questa sottile differenza si fatichi a cogliere tra i politici (Lombardo non c’entra niente, sia chiaro) è un fatto storico assodato. Che, alla peggio, si estinguano solo loro, senatori e casomai parlamentari, beh, potrebbe anche non essere uno svantaggio.

A patto, però, che vengano sostituiti da un’intelligenza qualsiasi, va benissimo anche quella artificiale, pur di non scivolare nell’anarchia.

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