L’HANDICAP SENZA FASE 2

di JOHNNY RONCALLI – La mia generazione è cresciuta con un monito nelle orecchie, uno dei tanti a dire il vero. Questo arrivava alle orecchie quando, seduti a tavola, qualcuno dei figli si intestardiva a non voler mangiare qualcosa.

“Pensa ai bambini del Biafra che muoiono di fame!”, proclamava la mamma o la nonna, i papà e i nonni più comprensivi, o più probabilmente rapiti da altro.

Un modo forse grossolano, ma in fondo saggio, per indurre a non dare per scontato il cibo nel piatto e chi aveva faticato per procurarlo. Un modo per vedere le cose da una diversa prospettiva, per capire che ci sono cose importanti e cose meno importanti, che un capriccio o una manfrina non tutti possono permetterselo, perché non tutti possono permettersi il piatto pieno.

Per capire che tutto è relativo, in definitiva.

A nessuno veniva in mente di mettersi a digiunare, o far digiunare, per mettersi alla pari dei bambini del Biafra, ma di dare il giusto peso alle cose sì. E a dire il vero a qualcuno il digiuno toccava, un altro monito frequente era “mangia sta minestra o salta sta finestra”.

Con gradualità, in questi giorni è possibile tornare a fare cose che non facevamo da un po’ di tempo. Non tanto tempo, se posso permettermi. Si è spesso fatto ricorso alla retorica di guerra nei racconti del virus, ma a sproposito non di rado. Dove sarebbe il parallelo? Nei morti, non c’è dubbio, nell’angoscia seppur dissimile, ma non certo nelle libertà negate: due mesi poco più a fronte di anni di conflitti, per dirne una.

Stride, e non poco, la smania di tornare a fare cose non certo essenziali, piacevoli ma non certo vitali, se si pensa a privazioni alle quali molte persone ancora devono sottostare, inevitabilmente.

Di sicuro stride, ed è certo l’esempio più eclatante – non certo l’unico -, vedere strade bloccate, code lunghissime, traffico in tilt, il primo giorno della Fase 2, per accaparrarsi non qualcosa per sfamarsi, ma un BigMac, a Latina.

Ma stride ancor di più, stride in una maniera insopportabile, se penso che ci sono famiglie esasperate con persone disabili a casa, perché moltissimi centri non hanno ancora riaperto e chissà quando riapriranno, per la complessità della gestione facilmente immaginabile. Così come è ugualmente facile immaginare quanto sia moltiplicata la sofferenza delle chiusure per queste famiglie, in cui il disabile psichico o fisico assorbe energie, angosce, tensioni, un carico continuo e gravoso, senza pause, 24 ore su 24, che va ad aggiungersi a quello della vita coatta imposta a tutti in questi due mesi. Con una differenza davvero decisiva: per la maggioranza di noi l’esperienza – comunque già meno opprimente – sta finendo, là dentro continua fino a data da destinarsi.

Nessuno si sognava di digiunare perché ai bambini del Biafra mancava da mangiare e nessuno si sogna di dire che uno non può andare da McDonald’s perché c’è qualcuno che ha ben altre preoccupazioni.

Però voglio dire che questa frenesia dell’inutile, questa rincorsa, fin dal primo giorno, verso qualcosa di così superfluo mi rattrista, anche se non mi coglie di sorpresa. Soprattutto se penso all’inferno, vero, permanente, che resta dentro le case dei disabili, oltre la Fase 2 e la Fase 3, senza sapere quando torneranno il sollievo e il precario equilibrio delle strutture riaperte. In quelle case, c’è una Fase particolare che tende all’infinito.

Non è male tenerne conto. Il relativo dell’esistenza aiuta a pesare meglio le gerarchie dei nostri crucci, delle nostre sofferenze, delle nostre ansie.

Con pieno diritto, in questi giorni molti staranno sognando viaggi esotici, vacanze, fughe rigeneranti, lontano, ma c’è un viaggio che questi mesi hanno garantito a tutti indistintamente, un viaggio forse non originale, ma difficilmente banale: quello dentro se stessi.

Sergio Endrigo avrebbe intonato: “Con tante navi che partono, nessuna ti porterà lontano da te” (Dove credi di andare, 1967).

Un pensiero su “L’HANDICAP SENZA FASE 2

  1. Fiorenzo Alessi dice:

    Egr.Dott. JOHNNY RONCALLI,
    Spero di cuore che quanto lei scrive possa , almeno, far riflettere . Un esercizio spesso arduo , che ritengo presupponga una sorta di ideale connubio tra cervello e senso civico . Si può dire tra intelligenza ed etica o morale ? Se non si può, magari perché roba da mal di testa (intesa come “contenitore” , di comune diffusione ancorchè priva di “contenuto”) , lo dico lo stesso. Non posso certo …commentare le angosciose situazioni che ci mette di fronte agli occhi. Troppe volte anche il sottoscritto guarda , ma non vede. È un peccato mortale, sempre, che espierò a tempo debito. Forse, per ora sarebbe già un risultato provare vergogna rispetto a comportamenti che definire deplorevoli è come sanzionare con una carezza un omicida conclamato.
    Quanto al saggio ammonimento genitoriale che lei ha posto a premessa della sua riflessione , ricordo anche un altrettanto significativo monito vigente, giustamente , al tempo dell’infanzia e fanciullezza (si possono ancora usare simili parole ?) quando s’infrangevano le regole , in famiglia o fuori di casa poco contava : Non ti VERGOGNI ? Ecco un’altra roba sparita dalla circolazione: la VERGOGNA. A chi non sapesse cosa sia e soprattutto quanto significhi inutile tentare di spiegarlo. Sufficiente che a saperlo sia io, e che possa ancora provarne l’effetto. Purificante, o come ormai entrato nel comune linguaggio IGIENIZZANTE. Per l’animo di sicuro , ed è quanto basta.
    Cordialmente.
    Fiorenzo Alessi

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