LETTERA AGLI STUDENTI CHE OKKUPANO CONTRO LA SCUOLA ANSIOGENA

Veniamo al dunque, miei cari studenti del “Manzoni” di Milano, che, non contenti di montare il solito cinema delle occupazioni (forti del sondaggio secondo cui sette studenti su dieci della vostra scuola hanno crisi di pianto e crolli nervosi), producete fenomenali pipponi sulla scuola trogloditica dei voti e della competizione, sulla scuola cattiva e disumana: che scuola volete? Fatecelo sapere e, di sicuro, qualche mastro pensatore del MIUR perderà il sonno per cercare di costruirvela attorno, proprio sulla misura delle vostre spallucce delicate e dei vostri ancor più delicati encefali.

Vi disturba lo studio? La competizione? L’ansia da verifica? La fatica? Bene, vi informo che là fuori, appena oltre le soglie dei cancelli del vostro sedicente liceo, il mondo è enormemente più esigente dei vostri insegnanti: lì ci si scanna per davvero e non importa a nessuno delle vostre aspirazioni, delle vostre aspettative e, soprattutto, delle bubbole che vi aleggiano nel cervello. Perché vivete in un mondo complicato e cattivo, faticoso e arido: non nel Paese delle Meraviglie. E, se la scuola non vi insegna a difendervi, non vi insegna niente, perché potete essere bravissimi a suonare il flauto tibetano o a dipingere farfalline sulla seta, ma nella vita vera, se non vi sapete fare il mazzo, vi passano sopra, come uno schiacciasassi. Alla lettera.

Per questo, un tempo, le scuole più ambite e gettonate erano i licei classici: quelli veri, tosti, minacciosi, in cui traducevi dal latino al greco senza vocabolario, e muti. Perché, una volta usciti da quei tritacarne paleolitici, si era attrezzati per qualunque sfida. Oggi, invece, con tutte le vostre fisime sulla scuola che deve essere accogliente, avvolgente come un bagnoschiuma, intrigante, protettiva, uscite da quella farsa che chiamano Esame di Stato e non vi sapete nemmeno allacciare le scarpe da soli.

Questo è il risultato del facilismo, dell’abbassamento continuo del livello, dei recuperi a oltranza: uno si fa l’idea di avere il diritto alla promozione, come, una volta, si pretendeva il diritto allo studio. Che voleva dire che ogni figlio di contadini doveva poterci provare: e si sollevava, intellettualmente e socialmente, a forza di fatica e di sudore. Non a colpi di pianti, a lacrimucce e a occupazioni. Non a caso, spesso, i figli di immigrati, che sanno cosa vuol dire partire dal fondo, vi staccano di dieci lunghezze, sul rettilineo del successo. Ma voi vivete nella meravigliosa illusione di una vita senza sforzo: di un’esistenza fondata sulla felicità ereditaria, non su quella che ci si deve conquistare giorno per giorno. Questo anche (e soprattutto) grazie ai vostri genitori “spazzaneve”, che credono di crescervi migliori e più felici rimuovendovi davanti tutti gli ostacoli e tutte le fatiche del vivere.

Beh, cari studenti, che, probabilmente, in questo momento starete organizzandovi per trasformare la vostra scuola in una specie di sogno di una notte di mezza estate, a metà strada tra Lourdes e Disneyland, mentre stendete per terra i vostri sacchi a pelo di marca e vi lavate i denti con lo spazzolino elettrico che fa “Wow!”, nella speranza di limonare duro con la biondina di quarta G, sappiate che la realtà non ha fretta: vi aspetta, tranquilla, alla fine della festa, per presentarvi il conto. E non ci si scende a patti: non la si piega a forza di tatzebao o di occupazioni, non la si può eludere né ingannare. La realtà è lì, serenamente implacabile, e se ne ride delle vostre pretese di felicità obbligatorie. Con vent’anni nel core, sembra un sogno la morte: eppur si muore…

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