LE VERITA’ DELL’8 SETTEMBRE: RE E BADOGLIO I VERI KILLER, PIU’ DEI TEDESCHI

La storia della resa incondizionata dell’Italia, nel settembre del 1943, è da sempre oggetto di interpretazioni un po’ arbitrarie e, talvolta, addirittura di omissioni o di mezze verità: forse, è questo il destino di eventi storici difficilmente digeribili o, forse, la loro digestione necessita di particolari procedimenti, per giungere al metabolita.

In questo caso, per giungere all’accettazione di una disfatta, è stato necessario trascurare qualcosa e inventarsi qualcos’altro. Nello specifico, ciò che è accaduto tra l’8 settembre e il 13 ottobre di quell’anno fatidico, nonchè un ruolo di cobelligeranti che non è riuscito a nascondere la nostra vera posizione di sconfitti. E, per di più, di sconfitti inaffidabili e voltagabbana.

Ma veniamo al punto: io ho spesso definito quelle settimane che intercorsero tra la proclamazione dell’armistizio di Cassibile e la conseguente dichiarazione di guerra alla Germania come il “mese terribile” delle nostre Forze Armate. Non starò troppo a commentare una capitolazione firmata il 3 settembre e resa pubblica dopo la fuga da Roma dei vertici civili e militari: su questo si sono già spese tonnellate d’inchiostro.

Dirò, piuttosto, dell’aberrazione giuridica e militare con cui Badoglio ha non solo abbandonato a se stessi centinaia di migliaia di nostri soldati, sparsi per i Balcani e in mezzo Mediterraneo, ma li ha posti in una condizione pericolosissima. Badoglio, infatti, nel suo proclama, non si limitò ad annunciare la fine di ogni ostilità verso gli Alleati, ma indicò ai vari comandi, dislocati un po’ dappertutto, la linea da seguire, in assenza di ordini specifici: “Esse (le Forze Armate italiane) però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.

E quale mai avrebbe dovuto essere questa provenienza, se non l’ex alleato germanico, furibondo per quello che percepiva come un tradimento?

Dunque, ricapitoliamo: il Re e la sua corte sono scappati a Brindisi, alla chetichella, insieme a politici e vertici militari. Gli Italiani devono immediatamente smettere di combattere contro gli anglo-americani, ma, al contempo, reagire con le armi ad eventuali attacchi provenienti dai tedeschi. I quali tedeschi, da tempo sull’avviso, avevano già pronto un piano per occupare i centri strategici, in Italia e nelle zone occupate dagli italiani, disarmando i soldati del Regio Esercito, in attesa di capire come si sarebbero comportati.

Un simile atteggiamento da parte tedesca si configura come un attacco? Evidentemente sì o, perlomeno, così lo interpretarono diversi comandanti di grandi e piccole unità italiane, che reagirono alle intimazioni dell’ex alleato di consegnare le armi. Avrete già capito che di qui ha avuto origine l’epopea di Cefalonia, di Corfù, di Leros.

Una riflessione che, tuttavia, mi pare mancare, nelle narrazioni riguardanti l’8 settembre e le sue conseguenze, è quella sulla legittimità delle rappresaglie tedesche. Grazie alla bella trovata di Badoglio, che incitò alla resistenza contro un esercito con cui non eravamo ancora in guerra, i nostri soldati si trovarono nella condizione di “franchi tiratori” secondo il diritto internazionale e le loro cannonate contro le zattere germaniche a Cefalonia furono, tecnicamente, un atto del tutto illecito. Eroicamente illecito, se volete: e potreste replicarmi che la Resistenza fu tutta illecita. Solo che qui stiamo parlando di codici militari e di truppe regolari, non di partigiani che combattono alla macchia, consapevoli delle conseguenze del loro agire, in caso di cattura.

La faccio breve: i tedeschi usarono certamente il pugno duro, contro un nemico che ritenevano colpevole di tradimento, prima che di infrazione delle leggi di guerra. Ma i morti della “Acqui”, gli 815.000 Internati Militari, che languirono nei lager nazisti senza la protezione dello status di prigionieri di guerra, quelli li hanno sulla coscienza il Re e Badoglio. Sarebbe bastato far coincidere l’armistizio con la dichiarazione di guerra alla Germania e non attendere il 13 ottobre: cinque settimane fatali per un’intera generazione alle armi. Certo, questo avrebbe significato rischiare: i tedeschi ce li avevamo in casa, d’altra parte. Ma avrebbe significato anche assumersi, onorevolmente, le proprie responsabilità: anche la guerra civile probabilmente avrebbe assunto caratteri diversi.

Poi, però, secondo l’italico costume, tutto si è aggiustato, nella vulgata: a Cefalonia i soldati erano “protopartigiani”, l’Italia combatteva al fianco degli Alleati e la colpa di tutto è ricaduta sulla innata crudeltà dei tedeschi. Non una parola sul fatto che, probabilmente, qualunque esercito moderno, in quella situazione, avrebbe trattato gli uomini di Gandin come “franchi tiratori”, giacchè, di fatto, lo furono. Fu una tragedia immane: le guerre lo sono sempre. Ma fu anche una tragedia annunciata. E di cui si parla pochissimo. Perfino oggi: l’8 settembre di ottant’anni dopo.

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