OPEN TO MERAVIGLIA, LA PIU’ SUBLIME STORIA ITALIANA

Sapete qual è la caratteristica comune a tutti – e dico proprio tutti – i più importanti testi della letteratura mondiale? Non intendo le mode del momento, per cui un anno si legge tutto Marquez e quello dopo l’opera omnia di Kundera: mi riferisco ai libri capitali dello scibile umano, come la Bibbia, l’Iliade, la Divina Commedia. Ve lo dico io: la semplicità. Che non vuol dire né la comprensibilità né, tampoco, la banalità: significa andare alla radice delle cose, senza troppi fronzoli. La complessità senza la complicazione.

Al capo opposto di questa mia goffa tassonomia, invece, ci sono le cose arzigogolate, volutamente pasticciate, ontologicamente volgari, che piacciono alla plebe culturale, perché in esse si rispecchia perfettamente. E, se dovessi indicarvene una, tra le millanta che affliggono i nostri tempi di patacche, indicherei, senza esitazione, la serie di immagini pubblicitarie dell’Armando Testa, in cui compare il volto meraviglioso dell’Afrodite botticelliana, assemblato al corpo procace di una tettona, che si mangia una pizza o si scatta un selfie. “Open to meraviglia”, yes.j

Lo confesso, dietro la volgarità del tutto fa capolino quel fenomeno di eleganza e bon ton della Daniela Garnero, già coniugata Santanchè: la penultima persona cui avrei affidato il dicastero del turismo in Italia. La scelta, che penalizza ulteriormente un’immagine turistica che, anziché puntare all’eccellenza, la butta sulle pizze e i centurioni del Colosseo, è stata, come è giusto, abbondantemente criticata: legare l’Italia ad un’immagine stereotipata, a metà tra la Bersagliera e la Ferragni, è un’operazione veramente fastidiosa, tanto esteticamente quanto, diciamo così, a finalità commerciali.

Tanto è vero che la campagna era stata sospesa ancora in culla, tanto era strategica e decisiva, con buona pace di tutti, tranne forse che dei diretti responsabili, che la credevano un capolavoro di comunicazione. Ma le vie della Garnero, già coniugata Santanchè, sono infinite: così la prorompente Venere, riveduta e gonfiata, ricompare sui giornali e nei video, a turbare i sonni di critici d’arte e galleristi, professori e semplici amanti del bello. Casualmente, ricompare solo dopo la domanda per niente maliziosa della Corte dei Conti, del tipo com’è che questa spesa ha già spento l’interruttore?

Perché, se una cosa fa schifo, state pur certi che, da noi, prima di morire infesterà ogni buco: siamo il Paese della bellezza, eppure in nessun posto come in Italia la bruttezza la fa da padrona. E il brutto di questo grottesco ircocervo non è soltanto un fatto da chirurgo estetico: una specie di operazione da Dr. Frankenstein, per creare una creatura metà capolavoro e metà tamarra. No, il brutto risiede nell’individuare il target di questo messaggio: il brutto è rivolgersi alla gente col linguaggio dei peggiori, dei più tristi, di coloro che, in definitiva, hanno creato il modello Italia, fatto di gondolieri che cantano in napoletano e di scugnizzi in cerca di mance, per le strade di Milano. Un’Italia vista attraverso il filtro della peggiore Hollywood, la stessa degli indiani cattivi e degli omini verdi.

Che è, evidentemente, la matrice culturale di chi ha ideato e messo in campo questa bella trovata della Venere Ferragni. E, infine, tutto questo è anche la dimostrazione che la peggiocrazia non muore: anzi, prospera. Non importa se un’iniziativa susciti una montagna di critiche: se è fortemente voluta da certe persone, da certi poteri, si affermerà, contro tutto e contro tutti. Perché l’Italia è una tirannia, non una democrazia. Una tirannia fatta di tanti tirannelli, dispotici e volgari. Questo andrebbe spiegato al turista che arriva da noi, come prima cosa: così, capirebbe la ragione di ciò che vede e che, altrimenti, non riuscirebbe a spiegarsi. Ma capisco bene che sarebbe un po’ complicato…

Un pensiero su “OPEN TO MERAVIGLIA, LA PIU’ SUBLIME STORIA ITALIANA

  1. Cristina Dongiovanni dice:

    Lasciando posato il pensiero sulle lettere, che mi pare un tantino complesso, credo che la deriva “populista” (termine che odio) sia effettivamente autocratica e purtroppo quasi irrefrenabile. Bisognerebbe smuovere il sistema, provocare un terremoto ideologico profondo e deciso per riuscire almeno a rallentare il meccanismo che strizza l’occhio a tutto ciò che è basso e ingurgitabile a basso costo cerebrale. Possiamo cercare almeno di “spuntare” le armi grottesche che qualche scellerata personalità di “spessore” riesce a mettere sul terreno della guerra più importante a cui siamo chiamati, quella contro la mediocrità e la bassezza culturale. Prima di tutto dovremmo capire che certa posizione fa comodo a chi ci gestisce.

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