LE NOSTRE MEDAGLIE D’ORO DELL’IPOCRISIA

di CRISTIANO GATTI – La prima medaglia d’oro, subito i soliti discorsi che ascoltiamo ogni quattro anni (stavolta cinque per il rinvio Covid), senza badare a spese con l’enfasi e la retorica. Ma prima ancora, con l’ipocrisia.

Mi rivolgo a te, giovane Vito Dell’Aquila, come simbolo di tutti gli ori che puntualmente sgraffigniamo – scopo orgoglio nazionale – agli sport da noi stessi definiti minori (magari vorremmo dire minorati). Caro Vito, ti dico subito che adesso faticherai a realizzare, a rimettere ordine, a pesare queste giornate. Ti inonderanno di complimenti, ti chiederanno duecento interviste, capace pure che con un po’ di fortuna ti arrivi al rientro l’invito da una signora della televisione, la D’Urso o la Berlinguer, vai a sapere cosa hanno in testa queste sovranità della nostra cultura.

In ogni caso, scoprirai in dosi da cavallo la bellezza del successo e della popolarità. Ti aspetta tutto un cerimoniale che non sgarra mai di un millimetro: il presidente del Coni spiegherà quanto è importante e vitale il tuo sport per la crescita civile del nostro Paese, il presidente del Consiglio ti manderà un tweet pubblico di esaltazione, il presidente della Repubblica ti farà probabilmente cavaliere. Quanto a noi, popolo sovrano, cominceremo la contabilità orgogliosa e tifosa del medagliere, usando anche la tua come segno di vittoria e di primato, anche se nessuno sa cosa diavolo sia il taekwondo, chi lo pratichi, a cosa serva e pure come si scriva.

In fondo è per questo che mi premuro di scriverti subito: fai molta attenzione, usa tutti i paracadute, vacci piano con il coinvolgimento. Non cascarci. Ti racconteranno che da qui in avanti cambierà la tua vita e pure quella del taekwondo. Ma è una fesseria colossale. Questa febbre durerà al massimo un mese, due mesi, poi per quattro anni tornerai nella tua semioscurità. Gli italiani tutti, compresi i presidenti di qualcosa e le signore della televisione, torneranno alle cose serie, i tatuaggi di Nainggolan e la tartaruga addominale di Ronaldo. Il taekwondo? E che è il taekwondo? Dell’Aquila? E chi è Dell’Aquila? E’ vero, era quello che faceva quella cosa strana in pigiama, come si chiamava sto sport? E lui, come faceva di nome, era coso, mi pare Dell’Agnello, o qualcosa del genere…

Non lo dico per rovinare la festa, lo dico perchè troppe volte ho partecipato a questo gioco. Ogni quattro anni, grancassa e baccano per gli sport minorati che ci fanno da bancomat-medaglie. Ogni volta facciamo i buoni propositi dell’asilo Mariuccia, certo, questi sport sono belli, vanno sostenuti, vanno portati nelle scuole, non possiamo pensare solo al calcio, poi chi li conosce.

La verità è che con le Olimpiadi funziona come con il resto della nostra educazione. Abbiamo un’idea dell’orgoglio patriottico malata, deformata, perversa. Ci buttiamo nelle fontane per un gol di Immobile o di Pessina, parliamo di primato italiano per un titolo europeo, ci tornano buone anche le medaglie del tiro con l’arco e della scherma per sentirci forti e migliori. Salvo uscire dalle fontane nel giro di una nottata e tornare all’atarassia egoistica di sempre. Urliamo fieri davanti a tutti che l’Italia è il paese più bello del mondo, con la più bella arte e la più bella natura, salvo poi sfregiare orribilmente proprio queste ragioni di un’eccellenza antica. Diciamo orgogliosi che l’intelligenza italiana è la più intuitiva e la più creativa, salvo poi far scappare le nostre giovani intelligenze in ogni angolo del mondo.

Siamo patrioti cialtroni. Siamo solo vanitosi e narcisisti, questa la verità. E tanto per non girare troppo al largo, tornando a bomba sulle medaglie olimpiche, ricordo come negli anni Novanta mi toccasse ogni quattro anni l’intervista per la medaglia dell’eroico Maenza, un piccolo lottatore forte come un toro, che immancabilmente chiedeva con la medaglia al collo di non essere dimenticato, lui e il suo sport, e tutti attorno gli italiani a scrivere e a dire vero, giusto, questi sì sono i veri atleti, non i calciatori viziati, ma giusto il tempo di scendere dall’aereo, poi di Maenza non parlava più nessuno. Di lui e della sua lotta, in tutti i sensi.

Caro Dell’Aquila, non voglio rovinarti niente, goditi questa vittoria, solo tua e dei tuoi sacrifici, ma tieni a debita distanza la nostra ipocrisia. Non devi cascarci. Quelli che adesso applaudono, domani nemmeno ti riconosceranno. Se vuoi tornare in pista, vedi di rimetterti subito al lavoro per la prossima medaglia. Quattro anni di buio e un giorno di false adulazioni: è questo il vero destino del campione olimpico italiano, se arriva dagli sport minori. Non è mai cambiato niente, non cambierà nemmeno stavolta. Puoi stare sicuro, perchè come cialtroni siamo del tipo inguaribile.

Un pensiero su “LE NOSTRE MEDAGLIE D’ORO DELL’IPOCRISIA

  1. Fiorenzo Alessi dice:

    Egr. Dott. Cristiano Gatti,
    Dire che la sua è una impietosa verità non costa gran fatica.
    Lo spirito olimpico, quella roba che ogni quattro anni ti pervade più e meglio delloSpirito Santo , ha anche lui una bella scadenza.
    Consumare preferibilmente entro il…..
    Giorni , e forse qualche mese : poi , non come cantava tale Grignani evocando il paradiso, destinazione discarica.
    Intesa come sintomatica dello “scaricare”, del dimenticare. Insomma del fregarsene di un oro olimpico , che per ogni atleta di qualsivoglia disciplina sportiva rappresenta l’apice della perfezione ed il premio per eccellenza del sacrificio che ogni lavoro, anche quello agonistico, inevitabilmente comporta.
    Tutto questo è inesorabile, se di mezzo non c’è il Signor Pallone.
    Che sia anche comprensibile e sensato …è tutto un altro paio di
    maniche.
    Cordialmente.
    Fiorenzo Alessi

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