LE MILLE E UNA NOTTE DI SANDROCCHIA

Aveva chiesto ad una chiromante quale uomo della vita avrebbe infine incontrato. Sandra Milo a novantuno anni sognava ancora una vita dolce, piena di fresche follie, i piaceri che la sua infanzia acida le avevano negato. Visse la guerra e la fame, niente soldi, niente cibo, da Tunisi ai borghi sbrecciati della Toscana, terra antica di sua nonna, nomi improbabili e poi famosi, Rota, Capannori, Monsummano, Viareggio prima di scoprire che, forse, la vita le avrebbe regalato luci e gloria.

Salvatrice Elena Greco, in arte Sandra Milo, ha chiuso la sua storia di mille e una notte, una voce da bambina e un corpo da femmina maggiorata, secondo un neo-aggettivo pronunciato da Vittorio De Sica avvocato difensore di una maestosa Gina Lollobrigida in un film diretto da Alessandro Blasetti. Al tempo le dive del cinema provocavano disturbi alla vista per gli spettatori reduci dalle bombe e da vita agra, avevano seni esplosivi e labbra di fuoco, Salvatrice era un nome di tradizione sicula, femminile di Salvatore doveroso per il primogenito, la Toscana era stretta, Milano offrì spazi alla sua bellezza spavalda, aveva capelli neri e a quindici anni finì tra le mani violente di un nobile, si fa per dire, marchese Cesare Rodighiero, che prima la mise incinta quindi la percosse, mostrandole la canna di una pistola come minaccia schifosa e Salvatrice perse al settimo mese la creatura che aveva in grembo.

Il matrimonio con il villano durò giorni ventuno, la Sacra Rota prese le carte per l’annullamento, Salvatrice ne restò avvilita nel corpo e nella mente. Non nella sua bellezza prorompente, accadde che un fotografo di Tivoli la convocò nello studio e, dopo averla fatta giacere nuda, su un letto, coprendola di foglie, scattò fotogrammi storici, perché l’immagine, pubblicata su un giornale boulevard, portò all’accostamento, ecco la Venere di Milo, anzi la Milo di Tivoli.

A differenza della scultura marmorea la nostra aveva braccia intere sul corpo fantastico, in seguito Salvatrice si fece Sandra, più semplice, e il cognome in onore della statua greca. Vennero quelli del cinema, la ragazza aveva una vocina da bimba, la doppiarono ma l’effetto restò forte, tutto frizzante fino al Sessantuno, l’anno di un film con Rossellini, titolo Vanina Vanini, da un testo di Stendhal. Il produttore si chiamava Moris Ergas, greco come la Venere, furono scazzi con il regista che non valutava le doti della ragazza, la critica al film fu perfida, il titolo venne modificato in Canina Canini, la Milo ne restò mortificata annunciando il ritiro dalle scene.

Sposò Ergas, nacque Debora, ma il matrimonio fu anche questo macchiato da violente, male parole e mani calde, liti in tribunale, quarantaquattro processi e infine la vittoria.

Spuntò, tra cento registi, Federico Fellini, per il quale donne come la Sandra erano figurine dei suoi amarcord riminesi. Il maestro la ribattezzò Sandrocchia, come un giocattolo, fu amore clandestino, si fa per dire, durato una vita, con la partecipazione dignitosa di Giulietta Masina, moglie fedelissima di Federico.

Film vari, Venezia, Cannes, notti d’amore, desiderio di uomini, giovani, maturi, l’oca giuliva non era affatto tale, l’adolescenza affannosa era stata la lezione migliore, la violenza dei suoi uomini aveva contribuito a fortificarla, dietro la vicina c’era una donna solida con le fragilità emotive di chi non sa fingere come sul set.

Quattro i mariti, un altro manesco, ottavio De Lollis, quindi un colonnello cubano, tre i figli, l’ultima, Azzurra, miracolata alla nascita (era data morta) dalle preghiere di una suora.

Altri amori potenti, Bettino Craxi fra questi, dunque compagni di grande impeto nella sua esistenza di rifugiata e poi brutte storie di aggressioni notturne su un treno, malignità, illazioni, la scenetta televisiva di Ciro Ciro, scherzo idiota di una telespettatrice che le aveva fatto credere che il figlio fosse rimasto vittima di un incidente automobilistico, altre partecipazioni in teatro, ancora in tivvù, la vecchiaia affrontata con il sorriso, ma con gli stessi connotati dell’infanzia.

Fine della belle époque, ricchezza e benessere memorie antiche, silenzio attorno, ma grande dignità e decoro, nessuna scena pietosa, nessun richiesta caritatevole. La chiromante sta cercando l’ultimo amore.

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