L’ADDIO A TANZI, SIGNORE DEL LATTE MACCHIATO

L’anno è nuovo ma l’uomo, che ha abbandonato la vita, era vecchio di storia, prima, e di cronaca, dopo.

Calisto, con una elle sola, Tanzi era ormai dimenticato, qualcuno presumeva fosse morto da tempo, l’ultima volta che lo vidi stava in un’aula buia del tribunale di Bologna, lo accompagnavano, sorreggendolo sotto le ascelle, due uomini della polizia penitenziaria, Tanzi portava le manette, gliele tolsero all’inizio del dibattimento, lui era grigio nel volto, chino e smagrito, un povero uomo di settantatré anni che non aveva ancora capito che il luna park sul quale era salito, assieme ad altri sodali, aveva le luci spente.

Ebbe un malore quel giorno, l’udienza fu interrotta, poi Calisto aveva appena rialzato il volto ma con un cenno della mano disse di arrendersi, le manette tornarono ai suoi polsi e un’ombra abbandonò l’aula.

Tanzi era sceso dalla giostra sulla quale si era divertito e aveva invitato molti ospiti, alcuni dei quali oggi fingono di non averlo mai conosciuto, frequentato, celebrato e da lui incassato fior di denari. “Il grande lattaio” era passato dall’aereo privato e dalle buste gonfie di milioni per amici vari, a un rifugio di Fontanini di Vigatto che devi cercarlo sull’atlante o su google, il nome della strada è Chiaviche, non vorrei aggiungere altro. Gli erano concessi tre ore al giorno di libertà, gli bastavano per dare un occhio al giardino e scorgere qualche passante e amico che transitava nei paraggi, ultimi profili di una realtà smarrita. Da un mese il respiro si era fatto difficile, nemmeno il sondino, al quale era costretto, riusciva ad aiutarlo, un’infezione ai polmoni lo aveva spinto al ricovero d’urgenza.

Non so dove siamo finiti i quadri e le tele e le sculture e tutto quel patrimonio nascosto tra soffitte e scantinati, perché chi nasce povero e diventa ricco, anzi ricchissimo, poi cura il salvadanaio con la paura che qualcuno glielo porti via oppure con la coscienza sporca di avere accumulato il patrimonio, gli altri non sanno bene come, lui, invece, se lo ricorda benissimo.

Portava il nome del nonno, Calisto, che avviò la ditta occupandosi di conserve e salumi, quando toccò a lui gli apparve la madonna in un viaggio a Stoccolma: in un emporio vide alcune confezioni di latte contenuto in tetrapak, fu una folgorazione, la lunga conservazione avrebbe trasformato il mercato e rivoluzionato l’esistenza e il conto corrente del ragioniere di Collecchio.

La bottega di salumi e conserve diventò la Parmalat con 130 stabilimenti in ogni parte del mondo, Europa, Sudamerica, Sudafrica e anche Nusco. Ma Nusco è in Campania, d’accordo, ma è anche il presepe personale di Ciriaco De Mita, un sodale che spiega molte cose dell’avventura imprenditoriale di Calisto.

Era uomo di chiesa, democristiano antico, di fede e osservanza, ma poi peccatore clandestino nell’arte di mandare a ramengo una ditta e i suoi soci, quattordici miliardi di bancarotta, vent’anni di gloria fasulla a bruciare tutta una vita e un impero, droghe imprenditoriali, il calcio, la formula uno, la televisione, coppe, trofei, prime pagine, passerelle, celebrazioni, una sbornia che non gli fece comprendere, e con lui i figli e il resto dei complici in ditta, l’epilogo, in tragedia, di una commedia bella.

La joint venture con Cragnotti segnò l’inizio della fine per entrambi, latte e pomodori (Cirio) non potevano stare assieme a tavola e nemmeno negli affari sani. Alcuni investimenti, l’Eurolat di Cragnotti, le acque minerali di Ciarrapico, i bilanci di emittenti televisive e del Parma calcio, fecero saltare il tappo, il Natale del duemila e due fu l’ultimo da cittadino libero, due giorni dopo Calisto venne arrestato.

I tentativi di difesa furono anche patetici e volgari, il crac finanziario ammontava a 14 miliardi di euro, vertiginoso il danno per azionisti e titolari di bond, tanti fra questi ignari pensionati, 18 gli anni di condanna.

Le figurine del suo album, Thuram e Buffon, Stoikov, il logo della Parmalat sulle tute Ferrari e sul cappellino di Niki Lauda, il tradimento con la Brahbam e poi con la McLaren, Malesani, Ancelotti, Scala, Odeon Tv, De Mita e i direttori dei giornali, erano il suo casinò dove poteva entrare e giocare con fiches fasulle però facendo divertire tutti i partecipanti.

La storia non cancella la cronaca, semmai serve a comprendere i rischi di avventure troppo facili. L’avventura di Calisto Tanzi è uguale a molte altre contemporanee. Basta non distrarsi. Al suo funerale sarà opportuno il silenzio, di rispetto e di memoria.

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