IO E IL COVID: DIARIO / 4

Il quarto giorno di Covid casalingo spariglia le carte. Dall’apartheid della mia camera è da qualche tempo che sento mia moglie tossire violentemente e so che la sua febbre sta salendo vertiginosamente. Stiamo dando fondo ai kit dei tamponi rapidi e i suoi finora sono sempre stati cocciutamente negativi.

L’ideale era preservarla dal maledetto. Ma non è stato possibile, purtroppo, pur con tutte le superprecauzioni del caso. Difatti il fastidioso cotton fioc delle ultime ore dà il suo maligno responso: positivo. In qualche perverso modo si è insinuato sotto le fessure, annidato sulle superfici, sospeso nell’aria, rifugiato nelle pieghe dei tessuti, nascosto chissà dove.

Ed è inutile cercare di capire dove lo si è preso. Inevitabile farlo, ma è un giochino che lascia il tempo che trova. Anch’io ho fatto la caccia all’untore o ai luoghi sospetti, senza venirne comunque a capo. Ho passato invece un bel po’ di tempo a comunicare il mio nuovo stato ai colleghi e amici che ho frequentato per ultimo, chiedendo loro di fare i tamponi necessari. La procedura è sotto controllo, anche se il senso di colpa di contagiare gli altri è qualcosa che ti senti crescere dentro e comincia piano piano a pesarti.

Con la positività di entrambi, cade la necessità di isolarci, l’unico buon risvolto della vicenda. Viene riassettata subito la camera da letto, dove avevo sparso giornali, pc, prolunghe, biscottini, coperte extra, felpe, bottiglie, bicchieri, mascherine, insomma un bel tugurio degno di un uomo allo stato brado. Un po’ mi vergogno.

Decidiamo comunque di fare una certificazione più affidabile con il molecolare anche per lei. Anche se la norma è decaduta da poco, vogliamo sentirci più sicuri. Se penso alla mia esperienza, rabbrividisco: a quasi 39 di febbre Donatella non può permettersi di stare al freddo per 3 ore e 40 in coda. Come fare allora? Purtroppo non c’è che rivolgersi al settore privato, caro Speranza, e qui l’assistenza sanitaria pubblica cade come il famoso asino. Mi secca, ma non ci sono alternative. Ci diamo da fare e … tutto esaurito, siori e siore, bisogna pazientare anche lì. Lo tsunami dei tamponi non si ferma, peggio della carenza delle mascherine della prima ora.

Nel frattempo, il colloquio con il medico di base si è fatto più fitto. E’ l’unico contatto per i contagiati in quarantena, ma non si può nemmeno abusare della loro pazienza perché i numeri sono lì da vedere. Qui nasce il vero passaggio delicato per chi è isolato in casa. La fase imprevista del fai-da-te in tema di monitoraggio di valori, valutazioni e diagnosi sommarie: benvenuti nell’autogestione della tua salute, una sanità in versione smart working. Termometro e saturimetro diventano gli attrezzi più usati in casa. Soprattutto l’ultimo, perché è ciò che ti separa dallo spettro del pronto soccorso, senza più filtri. 92 è il numero che ti potrebbe apparire sul piccolo display (dopo qualche secondo di grafici verdi a intermittenza, al di sotto dei quali sarà allarme rosso) e che farà la differenza tra il calduccio di casa tua e l’atrio asettico di un ospedale, anticamera di un ostile tunnel che ti è apparso solo nei tuoi peggiori incubi.

E’ psicologicamente snervante che di fatto sia tu in prima persona a decidere il tuo ricovero. Siamo abituati fin da piccoli ad ascoltare le diagnosi di un dottore in camice bianco e seguire le sue istruzioni, qualunque esse siano. Certamente non ci piace dare retta a una minuscola molletta digitale che ti infili su un dito.

Le ore passano, persino noi ci prepariamo a passare l’ultimo dell’anno, questo finale così triste e così surreale, con un occhio sull’orologio e l’altro sul maledetto numerino digitale. Comunque, ci proveremo. Cin cin.

(4 – continua) 

IO E IL COVID: DIARIO / 3

 

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