C’E’ IL LAVORO CHE NON VA MAI BENE A CHI CERCA LAVORO

Leggo e sento che non si trovano più educatori per affiancare i disabili. Leggo che molti sono i responsabili per questa sparizione, Stato, Regioni, Università, Cooperative, Sindacati, Associazioni, le nuove normative, i requisiti richiesti, i salari bassi, la scarsa tutela, gli orari, il lavoro duro e il lavoro punto. E la pandemia naturalmente.

Si perdonerà l’accostamento, ma leggo anche che il settore della ristorazione fatica a trovare personale, nessuno vuol più fare il barista o lavorare in un ristorante. E leggo che anche i responsabili per questo dileguamento sono molti: salari bassi, orari, lavoro nei fine settimana, i turni sbilenchi, il lavoro duro, anche qui il lavoro punto. E la pandemia, nemmeno dovrei sottolinearlo.

Continuo a leggere e apprendo che, in generale, nel mondo del lavoro post-pandemia c’è una forte inclinazione a voler lavorare meno giorni, a non lavorare nei fine settimana, a declinare certi lavori, certi turni, certi salari. Anche i giovani, forse soprattutto i giovani, antepongono al lavoro il lavoro a certe condizioni.

Leggo e alcuni passaggi li rileggo addirittura, poi anche la radio mi aiuta a consolidare i concetti. Leggo e ascolto di analisi e analisti che cercano di trovare soluzioni ma anche responsabilità, la foce e la sorgente insomma, e cercano di mettere a nudo i motivi di questo slalom a voler scansare il lavoro così com’è. Il tipo di offerta, i salari, il mondo che è cambiato, le persone che sono cambiate, non più disposte a fare certi lavori e in certe condizioni, in certi orari, con certi turni, di nuovo.

C’è lavoro, non ci sono i lavoratori. E anche i lavoratori che un lavoro ce l’hanno, quel lavoro vorrebbero cambiarlo. Quasi uno su due, ci dice l’Osservatorio sull’innovazione delle risorse umane del Politecnico di Milano. Così leggo almeno.

Può essere, come molti analisti sostengono, che il mondo del lavoro italiano sia rigido e poco liquido, può essere che il lavoratore due punto zero non si ritrovi davvero più in questo mondo post-pandemia. Può effettivamente essere che reddito di cittadinanza, salari modesti, stili di vita cambiati e l’idea che, lavoro o no, comunque andrà tutto bene, abbiano generato un lavoratore alieno, prima sconosciuto. Un lavoratore meno lavoratore però, mi verrebbe da dire.

Perché educatori, baristi, segretari o netturbini, ancor più se giovani e inesperti, pare vogliano lavorare non più di quattro giorni a settimana, non più di trenta ore a settimana, non più oltre il tramonto, non più insomma.

C’è il lavoro e se uno vuole trovarlo lo trova, un lavoro. Ci sarebbero anche i lavoratori in cerca di lavoro, ma se uno vuole trovarli non li trova, i lavoratori.

Poi uno legge, ancora legge e legge ancora, ma una cosa non trova mai nero su bianco: non sarà che quel che manca sia la voglia di lavorare?

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