LA VERGOGNOSA LEZIONE DEL PROF NO VAX CHE INSEGNA A SALTARE I CONTROLLI

Carlo Emilio Gadda, che fu un formidabile fustigatore dei peggiori costumi italici, era solito dire che l’abolizione della frase “t’aggio fatto fesso” avrebbe rappresentato la definitiva emancipazione del nostro popolo. Magari, il Gran Lombardo esagerava, ma, in fondo, non aveva tutti i torti: l’Italia è un Paese realmente bipolare, con due anime e due differenti Weltanschauung. Da una parte c’è una Nazione fatta di gente che usa obbedir tacendo e, talvolta, tacendo morir: dall’altra ci sono quelli che pensano di essere più furbi degli altri, perché aggirano leggi, e regolamenti, in un delirio narcisistico ed egotico.

Ecco, precisamente a questa categoria sembra appartenere il professore partenopeo che, in un’intervista su “Repubblica”, si vanta e si pavoneggia per la sua diabolica abilità nell’eludere l’obbligo vaccinale per gli insegnanti. Non starò a rammentare la raffinata tecnica adottata da questo Fantomas in sedicesimo per evitare il vaccino e, al contempo, la meritata sospensione: non voglio creargli proseliti. Mi limito a dire che, in primis, se lui, come molti altri suoi geniali compatrioti, dedicasse la propria inventiva e il proprio talento al bene comune, anziché all’inventare trucchetti per aggirare la legge, probabilmente ne trarrebbero giovamento sia quelli come lui che quelli come me.

Invece, sembra quasi che, per qualche Napoletano, fare fesso il prossimo e, massime, il prossimo più ingombrante e istituito, ossia lo Stato, sia un punto d’orgoglio: ecco qua, sembrano dirci questi guaglioncelli beffardi, vedete come è facile prendervi in giro?

In secundis, però, c’è un altro problema, grande come una casa: il nostro eversore vaccinale fa l’insegnante. E cosa insegnerà mai ai suoi studenti? Che le regole si eludono? Che qualcuno, più astuto della massa beota, può sempre cavarsela con la furbizia ed evitare le noiose pastoie che gli altri, i fessi, quelli normali, devono subire?

Bella lezione davvero! E meno male che exempla trahunt, gli esempi trascinano. Me la immagino la classe del nostro professore: una pepinière di potenziali attraversatori col rosso, saltatori di file, aggiratori di norme, evasori fiscali, come no. In definitiva, una fabbrica di imbroglioni. E di imbroglioni che credono che imbrogliare sia una dote non comune: l’azione egregia che distingue il predestinato dalla massa.

Se la devo dire tutta, io questo bel tomo lo caccerei da ogni scuola del regno a calci nel preterito, ma non perché non è vaccinato: perché è il peggior esempio che si possa dare a un giovane. E a un giovane napoletano, in particolare, cui insegnare ad incarnare i peggiori luoghi comuni sull’identità lazzarona appare veramente una pessima operazione, un pessimo esempio. Il tutto, figlio di una mentalità tardigrada e provinciale, per cui un Napoletano che si disegni la cintura di sicurezza sulla maglietta per non doversela allacciare è un simpatico geniaccio: uno che fa una cosa del genere è semplicemente un povero idiota, la cui stupidità diverrebbe patente al primo serio tamponamento. E, allo stesso modo, uno che si vanta di ingannare leggi e regolamenti con un suo elaborato sistema, solo per non farsi una puntura, è un poveraccio, non un carbonaro. Se, poi, è un poveraccio in cattedra, diventa anche dannoso per la società: proprio per quella società di cui pare disprezzare le regole di convivenza civile. Che noi, dalle nostre parti, chiamiamo leggi.

Ci sono due Italie, come dicevamo: e una delle due merita di sparire. O di chiamarsi con un altro nome: Furbilandia, Ingannopoli, Imbroglioncellia. Basta che si sappia che non è Italia e che, lì, a scuola, ci si diseduca, tout court.

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