LA VERGOGNOSA CAIVANO DEGLI INSEGNANTI DI SOSTEGNO

Tra le tante poco rassicuranti certezze che abbiamo in questo Paese, la girandola scomposta che assegna, o spesso non assegna, gli insegnanti di sostegno è tra le più deprimenti e degradanti. A inizio anno scolastico il copione si ripete implacabile e la recita è sempre più avvilente.

Tocca rassegnarsi, evidentemente, è un Paese nel quale il grado di civiltà si misura in altro modo. Ormai e sempre più dobbiamo farcene una ragione, tutto quello che non porta profitto viene spazzato via, sotto il tappeto, dietro la porta, in fondo comunque, dove non si vede. Poi riaffiora, qualche grida scandalizzata, ma chi se ne importa, un altro colpo di scopa e se ne riparla il prossimo anno. Così la sanità, così le grandi questioni etiche come il fine vita, così la scuola e così naturalmente il ripostiglio della scuola, gli handicappati e gli insegnanti che dovrebbero avere cura di loro, nel senso più nobile possibile.

E scrivo handicappati, anziché disabili o diversamente abili, perché alle difficoltà che la natura talvolta disgraziatamente riserva, si affianca spesso l’handicap di avere a fianco persone incompetenti, magari di buona volontà ma incompetenti, persone sempre diverse di anno in anno, persone che avrebbero voluto essere ovunque, ma non dove sono.

“Ogni anno, specialmente al nord, moltissime cattedre sul sostegno sono assegnate a precari privi di specializzazione. Molti accettano per non restare disoccupati. Altri ne approfittano per intraprendere una sfida stimolante che però in molti casi può diventare frustrante”, si legge su “Orizzontescuola.it” del 21 agosto 2023.

Andrea Sacchetti, insegnante di filosofia, sintetizza in poche righe la frustrazione di un sistema malconcio da sempre: “Per me come per altri è stato un modo per non restare disoccupato un anno, soprattutto se non trovi una supplenza nella tua disciplina. Anche mettendoci molto impegno, spesso a fine giornata ti rendi conto che sarebbe servito qualcuno con più formazione per fare bene quel lavoro“.

Tra fine agosto e inizio settembre le famiglie interessate vivono una condizione di disagio estremo, reso ancora più sconfortante dalla implacabile prevedibilità. L’incertezza di non sapere se all’inizio dell’anno scolastico sarà presente l’insegnante di sostegno, l’incertezza di non sapere se sarà lo stesso dell’anno precedente oppure no, l’incertezza di non sapere se l’insegnante designato sarà specializzato o meno.

La certezza e la sensazione di essere cavia, o l’ultima ruota del carro, o tutte e due le cose insieme. “L’eco di Bergamo” del 29 agosto non è più rassicurante: “Meno di due settimane al suono della prima campanella e nelle scuole della Bergamasca mancano ancora all’appello centinaia di insegnati di sostegno: addirittura 1453 secondo i dati forniti dai sindacati”.

Sempre su “Orizzontescuola.it” emergono dati agghiaccianti: “Il dato rilasciato dallo stesso Ministro evidenzia come il 59% degli studenti con disabilità abba cambiato insegnante di sostegno nell’ultimo anno. Tradotto in numeri reali, stiamo parlando di oltre 171.000 mila studenti che non godono della continuità didattica”.

Naturalmente, nonostante negli ultimi anni vi siano stati protocolli d’intesa che sottolineavano l’importanza della continuità didattica. Poi cosa siano e dove finiscano questi protocolli d’intesa rimane un mistero, i soliti bei pensieri, le solite belle promesse, i soliti bei propositi delle giornate nazionali o mondiali, con la fascia tricolore bene in vista. C’è sempre altro a cui pensare, fino ala prossima parata, fino alla prossima diretta, fino al prossimo abbraccio commosso.

Alla prima occasione, vorrei però sapere chi, tra dirigenti o governanti, avrà il coraggio di avvicinare per un abbraccio commosso il padre che sulle pagine fiorentine del “Corriere” dice avvilito: “Mia figlia autistica, 17 insegnanti di sostegno diversi in 14 anni. E ogni volta è come ripartire da zero”.

“Ti chiedo scusa se non ci sarò”, così comincia una lettera aperta pubblicata su Facebook che un’insegnante di sostegno ha indirizzato ai suoi bambini, ma chiedere scusa forse toccherebbe a qualcun altro.

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