LA VERA LEZIONE DI DE ROSSI, IL NORMAL-ONE

Drogati dalle fanfaronate del de cuius portoghese, diventa una notizia la normalità di Daniele De Rossi, che del succitato ha preso il posto di lavoro alla Roma.

L’episodio Ndicka, il difensore romanista accasciatosi a Udine, ma soprattutto la decisione dei calciatori, sollecitati dallo stesso allenatore campione del mondo, a sospendere la partita, è stata interpretata, secondo usi e malcostumi, come se fosse trattato di una lezione dalla quale trarre insegnamenti.

De che? Direbbero a Roma. Ormai siamo intossicati da dibattiti, contenziosi, risse verbali e abbiamo smarrito il senso comune, il rispetto, la riflessione. L’imprevisto di Udine, per fortuna non tragico, viene affrontato come qualcosa di straordinario proprio perché abbiamo perso per strada l’ordinario, dunque il comportamento doveroso, umano, aggettivo questo in via di estinzione come il rinoceronte di Giava. Suona dunque come una poesia il commento di De Rossi stesso: “Se qualcuno vuole trarre chissà quale insegnamento dalle mie scelte, vuol dire che siamo messi davvero male”.

De Rossi appartiene alla tribù dei professionisti che non ha dimenticato la propria origine e non intende arruffare il popolo per farsi riconoscere, non è uno speciale, non è una “sola”, può sbagliare, riconosce l’errore proprio e non dell’arbitro, a Udine ha capito come fosse inopportuno continuare a giocare e dunque non ha pensato all’utile ma alla logica, mentre di fronte a lui don Abbondio Pairetto – l’arbitro, chi se no – non aveva compreso la temperatura dei calciatori, essendo prigioniero, come tutti gli arbitri, del regolamento burocratico.

Riassunto: Daniele De Rossi è diventato eroe a sua insaputa, comodo idolo in un mondo di cartonati e ipocriti a gettone. Forse il calcio, questo calcio, non lo merita.

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