LA TV MANDA IL CERVELLO IN PAPPA (SAI LA SCOPERTA)

Bisogna dire che la lettura di “Repubblica” induce quasi sempre ad un cauto ottimismo: un paio d’anni fa, vi veniva data la notizia del decremento del quoziente intellettivo dell’uomo occidentale che, secondo un calcolo del norvegese centro di ricerca Frisch, calerebbe di sette punti a generazione. Il che starebbe a indicare che, più o meno tra cento anni, un milanese avrà il QI di un delfino.

E’ invece di queste ore un articolo in cui, a parziale corollario, si dice che uno studio della John Hopkins pare avere stabilito che guardare troppa tv faccia, addirittura, diminuire la massa cerebrale e, per di più, nelle zone del cervello deputate alle principali funzioni cognitive. Insomma, videogiochi e televisione rimbambiscono: in questo, i più prestigiosi istituti di ricerca concordano clamorosamente con la dottrina empirica propalata da mia madre, che me lo diceva fin da piccolo, profetizzando un mio precoce tramonto intellettuale, a forza di “Drive in” e di “Space invaders”. Per la verità, la vegliarda cercava di terrorizzarmi anche con promesse di cecità precoce e di drammatiche paresi, con lo scopo di tutelare la mia purezza: mi aspetto che, da un giorno all’altro, “Repubblica” ci comunichi che qualche rinomato luminare abbia scoperto la caduta delle mani, in caso di abuso di pratiche lubriche e solitarie.

Io ci scherzo, ma c’è poco da scherzare, in realtà: i due dati, se non fanno una certezza, sono comunque un indizio piuttosto credibile circa la decadenza intellettuale della nostra civiltà. Nonostante questo rischio, tutt’altro che remoto, i nostri ragazzi vivono davanti a uno schermo: sia esso quella della tv, del tablet o, più frequentemente, dello smartphone. Anzi, per la verità, mi pare che la tv, intesa come baby sitter, sia un po’ passata in cavalleria e che, fin dalla più tenera età, i giovani italiani utilizzino, piuttosto, le infinite possibilità ludiche che offre il caleidoscopico paradiso internet.

Quel che posso dire è che, perlomeno gli adolescenti, sono perennemente collegati a qualcosa: appena hanno un minuto libero, si rifugiano in una realtà parallela, che, evidentemente, trovano più attraente di quella fenomenica. Non so se questo faccia effettivamente diminuire le dimensioni del loro cervello o abbassi il QI, ma, per certo, trasforma i ragazzi in altrettante piccole bolle di silenzio e di asocialità: e la cosa è, comunque, preoccupante.

Io credo che vi sia una stretta correlazione tra questo supposto decremento cognitivo e un crollo delle correlazioni interpersonali. Confrontarci, discutere e perfino litigare ci aiuta a crescere e ad aumentare la nostra capacità di leggere e comprendere la realtà: va da sé che vivere in una dimensione digitale e virtuale faccia contrarre la nostra capacità interattiva. E, quindi, anche quella cognitiva. Magari dire che ci consumi una parte del cervello è un tantino eccessivo, ma, di sicuro, ci peggiora come persone e come cittadini. Quindi, bisognerebbe mettere in campo qualche contromisura.

La prima mi sembra, inevitabilmente, responsabilizzare le famiglie di fronte a questo problema, che rischia di ingrandirsi a dismisura. In seconda battuta, la scuola dovrebbe mettere del tutto al bando i cellulari: ritirarli all’arrivo degli studenti e ridarglieli all’uscita. Ma farlo per davvero, non come se fosse una simpatica barzelletta. Infine, cosa più complicata, dovremmo proporre ai nostri figli qualcosa di sanamente alternativo a quel maledetto schermo, che calamita implacabilmente la loro attenzione: attività analogiche ed obsolete, come una bella chiacchierata, suonare uno strumento, fare due passi, praticare uno sport. Certo, costa un po’ di fatica e di attenzione, ma il rischio di avere, tra cento anni, un milanese che, anziché parlare, emetta ultrasuoni dovrebbe bastare a farcele accettare.

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