PER UNA VOLTA NON HA TORTO LA MAESTRA

Ci fu un tempo, un tempo che con elastica e arbitraria delibera personale definirò predigitale, nel quale la maestra, il maestro, i professori, gli insegnanti insomma, oltre a rappresentare il corpo insegnante, nell’immaginario del genitore medio erano anche anima, in qualche modo.

Erano considerati garanzia educativa. Oltre al maestro deputato a insegnare a scrivere e a far di conto, i genitori vedevano in loro la conferma o meno della buona creanza dei propri figli, attraverso il riscontro che ne davano. Si arrivava al punto di non mettere mai in discussione il dire e il fare dell’insegnante, perché giusto a priori, si arrivava a dire. Raccontavano i nostri genitori e i nostri nonni che se arrivavano un rimbrotto, una punizione o addirittura un manrovescio, una ragione fondata c’era sicuramente.

Come vuole l’aneddotica classica, si arrivava a rincarare una volta a casa il rimbrotto, la punizione, il manrovescio, per averne presi a scuola. Così impari, si diceva. E in effetti si imparava.

Ora, lungi da me considerare tutto ciò come l’età aurea dell’istruzione e dell’educazione scolastica, ma di fatto questo era e, al netto degli ingiustificabili eccessi, un senso pareva pure averlo.

Come il professor Cimmino argutamente sottolineava su queste colonne, era comunque un tempo nel quale era chiaro che la funzione della scuola fosse educare, oltre che istruire. Poi la discussione sui modi e sui metodi è e rimane materia sempre aperta.

A un certo punto, tutto questo è cambiato. Risparmio goffi tentativi di analisi sociologica, ma a un certo punto i propri pargoli sono diventati beni da tenere al riparo da qualsiasi scossone, beni da custodire nello scrigno, gioie appunto, e gli insegnanti la parte avversa.

Si generalizza, beninteso, ma la tacita alleanza tra genitori e insegnanti non solo è venuta meno, da decenni ci siamo ormai abituati a notizie di cause, richiami, minacce da parte delle famiglie nei confronti di insegnanti ritenuti iniqui, arroganti, debordanti, impreparati. Si è creata una barricata, i genitori di qua, gli insegnanti di là.

Una volta è l’insufficienza o la bocciatura, sempre ingiuste e immeritate chiaramente, una volta è lo sfioramento involontario tramutato in minaccia fisica, una volta la presunta impreparazione. Fatto sta che capita pure si arrivi alla causa e alla fine capita che mammina o paparino abbiano sempre irragionevolmente ragione.

O quasi sempre. Prendiamo Miriam Riccardi (nella foto) ad esempio, siamo dalle parti di Conegliano. Una vita a insegnare ai bambini delle scuole elementari del trevigiano, poi a un certo punto si vede trasformata nel bersaglio di un gruppo di genitori che la accusano di assenteismo e impreparazione nell’insegnamento della lingua inglese.

Un vero complotto, ordito alle sue spalle, senza fondamento, e che arriva in tribunale, dove la sentenza emessa è però impietosa nei confronti dei genitori e delle coscienze di quei genitori. Almeno una volta, non hanno ragione i genitori a prescindere.

Alcuni poi si scusano e si dicono pentiti, ma a monte rimangono venti genitori in schieramento bellicoso, un vero branco, pronti a mettere in piedi una «macchina diffamatoria di puro accanimento», per usare le parole di Michela Gallina, coordinatrice della Gilda, l’organizzazione sindacale degli insegnanti.

Miriam Riccardi non vuole risarcimento, chiede che quei genitori effettuino una donazione alla scuola per l’acquisto di materiale didattico, risarcire quattro anni di angherie nessuno può farlo. Le rimane l’amarezza, dice. E rimane anche a noi, francamente. È un episodio, da solo non fa letteratura, ma resta una sgradevole sensazione di anni cruenti negli animi, nei quali è importante comunque colpire qualcuno. Purché non siano i propri figli, dalla culla allo spaccio, sempre innocenti, sempre bravi ragazzi, gioielli di famiglia, a volte patacche, ma comunque pezzi di cuore. L’importante è che non entri in gioco – mai – il proprio modo di essere genitore.

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