LA SCLERATA DI MUSK NON PUO’ AFFOSSARE LO SMART WORKING

Elon Musk ordina ai suoi “rientrate in ufficio a lavorare” in modo perentorio e minaccioso. Tuona contro lo smart working, si scaglia contro chi ne ha approfittato troppo, oziando lontano dagli uffici. Parla ai suoi dipendenti come fossero degli scolaretti che non rientrano dall’intervallo. Non riesco a capire se la sua sia una tecnica sofisticata di comunicazione per annunciare le nuove tendenze, lui e altri eccentrici miliardari amano più di tutto essere quelli che tracciano in anticipo il futuro, oppure se sia solo una reazione schizzata e fuori controllo nei confronti di chi ha cercato di farlo fesso, anche se secondo le regole che lui stesso ha approvato. In tutti i casi la sua boutade fa notizia, ne parlano tutti. E sono sicuro che qualcuno ci cascherà, vedo già sedicenti esperti che diranno “io l’avevo sempre detto”.

Io dico semplicemente: ragioniamo con la nostra testa, lasciamo sfogare gli estremisti delle sperimentazioni e, piuttosto, variamo allegramente un neologismo “tuttidentristi”, riservato a chi vuole richiamare masse di impiegati, andando controcorrente con mare forza nove. Il Nostro non è l’unico membro di questo movimento, usa solo toni più sguaiati nel dirlo.

Sì, perché è appurato che lo smart working – ovviamente vale molto di più per gli impiegati stanziali delle retrovie – sia il nuovo modo di lavorare, abbiamo imboccato una strada senza ritorno. Il vero punto è trovare il giusto bilanciamento tra presenza fisica e lavoro da remoto, per questo le aziende stanno sostanzialmente sperimentando per trovare il mix ideale. Siamo stati scaraventati a casa in modo brutale dal maledetto virus, costretti a lavorare in un ambiente diverso sia pur molto familiare e abbiamo fatto una gran fatica ad abituarci. Se vogliamo parlare di “long Covid” per i pazienti contagiati, dobbiamo considerare gli stessi effetti anche per tutti i lavoratori, anche per chi non l’ha preso. E’ adesso che stanno emergendo le ansie e le insofferenze, lo stress post-pandemia è strisciante e probabilmente non lo vogliamo ammettere, ma c’è ed è meglio affrontarlo che nasconderlo.

Una delle vie d’uscita è proprio programmare con buon senso i nostri prossimi cicli lavorativi, pronti a modificarli ancora se necessario. La mia esperienza sul campo mi dice che la gente è contenta di tornare tra le quattro mura dell’ufficio, ma è altrettanto soddisfatta nel continuare a lavorare da casa. Adesso, passata la fase acuta dei lockdown paralizzanti, si può gestire. I giovani, in particolare, apprezzano molto non dovere spendere tempo nel traffico e far correre l’inquinamento con un pendolarismo senza fine. Nei colloqui di assunzione, i candidati chiedono tra le prime cose se si applica lo smart working e come.

Messaggi che non dobbiamo far cadere, l’ascolto è fondamentale. Oddio, facciamolo sempre in modo selettivo, magari le sfuriate capricciose di qualcuno possiamo giusto sentirle senza registrale, come un rumore di fondo che presto se ne va. La soluzione c’è ed è quella di sempre, anche se come sempre appare persino lapalissiana: si può lavorare un po’ a casa e un po’ in ufficio, nei tempi e nei modi più indicati. A fare la differenza, vera, è la solita: come si lavora.

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