LA RABBIA DEL CICLISTA

La prima pulsione, di chiaro stampo animale, è trascinare in Italia l’autista tedesco che ha ammazzato Davide Rebellin e darlo in mano al popolo della bicicletta, magari facendolo risalire a sberle il Passo del Pordoi durante una tappa del Giro. Ma quando scatta la prima pulsione bisogna contare fino a dieci, se necessario fino a venti o a trenta, e poi soffocarla. Perchè non siamo bestie, certo, ma anche perchè dopo la prima pulsione si comincia a ragionare da esseri umani, si apre la porta al raziocinio e al discernimento, e allora entra in scena una sequela di altri pensieri. Inevitabilmente.

Così, dopo aver pensato molto all’assassino tedesco, lasciato in giro a guidare sulle nostre strade nonostante i due precedenti criminali, a me viene subito da pensare a chi ce l’ha lasciato. Alle leggi ridicole che non hanno permesso di ritirargli per sempre la patente in Italia, e a chi ha fatto queste leggi. Assassino lui, ma complici anche quelli che non hanno mai stabilito regole più serie.

Poi i pensieri si inseguono e si legano a catena, uno tira l’altro, e allora ecco subito il pensiero che si allarga a chi in tutte le campagne elettorali, in tutte le riunioni sul clima, in tutti i convegni sul futuro, racconta la balla di puntare sulla bicicletta come mezzo supremo della riscossa ecologica, salvo non muovere un dito perchè questa bicicletta possa essere usata in sicurezza, a tutte le età, in qualunque luogo. La vogliono promuovere e la vogliono rimuovere, questa la verità, inventandosi la colossale menzogna delle piste ciclabili che non sono piste ciclabili, solo quattro strisce dipinte per fare grancassa, a caso, a pezzi, ad arlecchino, a macchia di leopardo, senza un ordine e senza un senso, soprattutto senza mettere mai al primo posto gli utenti di quelle piste, cioè noi ciclisti, magari chiedendo pure qualche parere.

A scendere, penso agli assessori dei nostri comuni, che rifanno strade e rotatorie a getto continuo, per piazzare le loro fibre e per affidare appalti agli amici impresari, ma mai che mettano al centro del progetto anche una vera, sicura, godibile pista per le biciclette. Non è prevista, ops, mi sono scordato, magari la prossima volta.

Penso ai vigili e agli agenti della Stradale, che mai e poi mai, nemmeno sotto tortura, multerebbero un automobilista o un camionista che supera il ciclista sfiorandolo con sinistre e mortifere carezze: non vogliono grane, chi glielo fa fare, i ciclisti sono notoriamente rompiballe indisciplinati e se vogliono stare in strada vedano di cavarsela un po’ da soli. Se ne stiano a casa, questi sfaticati, in strada c’è gente che lavora.

Penso alle sciure che si fermano improvvisamente sulla destra, davanti al negozio, preferibilmente senza freccia, poi mentre finiscono la telefonata aprono la portiera senza guardare nello specchietto, oddio che sbadata, ma quanto mi spiace, l’aiuto a raccogliere i denti, intanto chiamo subito l’ambulanza, per la bici accartocciata mi farà sapere la spesa…

Penso agli autisti dei furgoni che portano in giro i pacchi dell’e-commerce, nuovo flagello del terzo millennio, sempre di più, sempre più scassati e inquinanti, ma soprattutto sempre più guidati da poveracci pagati una miseria, mossi dall’unica missione di fare tante consegne nel minor tempo possibile, il più delle volte extracomunitari senza alcuna conoscenza del territorio, tutti con il telefono in mano per avvertire il prossimo cliente e per seguire le indicazioni di Google Maps, pazienza se nel frattempo non guardano più la strada e piombano alle spalle su noi stupidi gitanti delle due ruote.

Penso persino alle imprese che eseguono i lavori lungo le strade, scavandole come roditori insaziabili, ma lasciandole poi sconnesse e dissestate, con quei tombini profondi una spanna, tutte tagliole che macchine e camion non avvertono, ma che il ciclista teme come la lebbra, perchè costringono a scarti improvvisi e disperati verso il centro della strada, dove la lotteria dell’investimento aumenta vertiginosamente le sue probabilità di successo.

Penso agli automobilisti di nuova generazione, cioè tutti noi dai 18 anni in su, che proprio non ce la facciamo a guidare senza telefonare, qualcuno certo con il bluetooth, qualcuno certo con l’auricolare, ma troppi, dannatamente troppi, ancora in giro con lo smart-phone in mano, postura toast a colazione, distratti di testa e impediti di braccia, tutto fuorchè autisti attenti e responsabili.

Sì, assieme all’assassino tedesco, sono tante le figure che vengono in mente pensando a Michele Scarponi, a Davide Rebellin e a tutti gli altri meno famosi martiri della bici, quanti i ragazzini, Dio santo. L’altra gente dice di noi ciclisti che siamo insopportabili, arroganti, maleducati, soprattutto indisciplinati, con questa mania di viaggiare a gruppi come greggi allo stato brado, in mezzo alla strada, o a coppie, comunque non in fila indiana, preferibilmente buttandosi nel fossato laterale quando passano i signori motorizzati. Diciamolo: c’è del vero, molti di noi sono perfetti idioti che pretendono a loro volta di fare i propri comodi in strada, forse in virtù di una santità – ecologica, sportiva, ideale, poetica? – che sinceramente suona ridicola. Ma deve essere ben chiaro, diciamolo con rabbia, urlandolo se necessario, che per quanto idioti e incoscienti possano essere i ciclisti, il peggio dei danni che possono arrecare al prossimo è un rallentamento, una perdita di tempo, certo anche un inevitabile livore. Ma niente di più. Nessun danno materiale, niente sangue, niente lutto. Quando il farabutto è motorizzato, i danni sono incalcolabili. Non c’è paragone, solo uno stupido mentecatto non lo capisce, parlando magari di Rebellin con il commento a gettone “però anche voi ciclisti…”. Però che? Per quattro dementi che vanno in bici da bulli dobbiamo pagare con la condanna a morte? E’ questo il senso del “però anche voi ciclisti”?

Sappiano però una cosa, tutti quelli che ho evocato, dal killer tedesco alla sciura che apre la portiera, agli assessori che se ne impippano delle piste ciclabili: signori, se pensate di risolvere il problema bicicletta sterminandoci tutti, a uno a uno, commettete un tremendo errore di calcolo. Da questa parte c’è un’umanità particolare, mossa da una passione infinita, da un amore folle per la libertà, da una forza e da un coraggio che non si fermano davanti a niente e a nessuno. Non sottovalutateci, non vi conviene. Noi continueremo ad andare in bici, a rischiare, a prendere spaventi, ma soprattutto a pressarvi e a tampinarvi, perchè questa faccenda della sicurezza stradale non può finire così velocemente, a questo modo, due lacrime, due corone di fiori al funerale, due dichiarazioni ipocrite all’Ansa, e poi via come prima, nella vergogna più imperdonabile. La sicurezza in strada non si porta eliminando le biciclette, come state cercando di fare. Ma portando regole, controllori, rispetto, civiltà. A questo, noi gente della bicicletta, puntiamo da sempre. E a questo continueremo cocciuti a puntare. In ogni modo, a qualunque costo. Ce lo insegna la nostra cultura, ma prima ancora ce lo impongono i nostri martiri.

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