E, adesso, permettetemi, per una volta, di ridere. Non metaforicamente: proprio ridere alla grassa, sconciamente, con la bocca spalancata e il diaframma che trema. Ma quale sistema educativo di successo: facilismo a gogo e la balzana idea di colmare un gap socioculturale che dura da un secolo e mezzo con il trucchetto delle tre carte. Ti do voti altissimi alla maturità o all’università, così ti presenterai a concorsi e colloqui di lavoro con un curriculum vincente: poco importa se, nella realtà, non sai nemmeno scrivere correttamente in italiano.
E la realtà è lì, da vedere: perché, finita la festa per le lodi e gli abbracci accademici, la pietosa verità, prima o poi, salta fuori. Non ci vuole molto: basta vedere come scrivono certi docenti, sbarcati sulle nostre barbare spiagge dai lidi luminosi del Mezzogiorno, carichi di encomi e di medagliette al valore, di cento e lode e di concorsi vinti a mani basse. A casa loro: perché, ad altre latitudini, per vincere a mani basse devi essere un campione. E ce la fa uno su mille.
Poi, non voglio certo dire che tutti i diplomati e i laureati del sud siano capre felicitate da giudizi entusiastici senza alcun merito: ci sono studiosi eccelsi, professionisti straordinari, che vengono dal sud e che davvero meritano la nostra ammirazione. Ma il discorsetto della professoressa Grima è un capolavoro di mistificazione: racconta un mondo che non esiste e si spiega solo col fatto che la suddetta non abbia mai lasciato la sua isola felice. Perché, se fosse passata da altre parti e avesse assistito a un esame di quelli tosti, in cui, per strappare un buon voto, devi sudare sette camicie, forse forse avrebbe calato le arie.
E non c’è solo la ridicola Invalsi a dimostrarlo, con i suoi punteggi che vanno declinando, mano a mano che si scenda lungo lo Stivale: c’è la pratica quotidiana, il quotidiano confronto tra due scuole. Una è quella dei cento e lode e l’altra quella del “tasi e tira”. Solo che, purtroppo, la scuola italiana si allinea sempre di più al Grima-pensiero: assume il postulato secondo cui, per avere un numero di diplomati e laureati allineato agli standard europei, basti abbassare il livello, facilitare l’esito, gonfiare i risultati.
Insomma, la professoressa è un po’ la metafora dell’idea italiota di educazione. E, infatti, dopo le brillantissime carriere liceali e universitarie cui allude, i piccoli geni finiscono nel ripostiglio: perché, alla fine, Dio non paga il sabato.
Avremmo bisogno di maggiore umiltà: della coscienza della strada che, ancora, dobbiamo percorrere per avere una scuola degna di un paese civile. Solo così, riconoscendo i nostri limiti, possiamo davvero produrre il troppo spesso millantato merito: esibire simili vantardigie, oltre che ingiusto, è piuttosto ridicolo. E consentitemi un ultimo calembour: Grima, nel “Signore degli Anelli”, ha un ruolo molto preciso. Nomen omen.
Bravo, Marco! Come sempre, miri all’essenzialità delle cose e non manchi di far notare quanto buonismo inutile e malsano campeggi nel mondo della scuola.