Conoscendolo come tutti per la sua controllata esuberanza, il suo stile e i suoi modi, la sua generosità e il suo impegno nel sociale, il suo carisma e il suo equilibrio, ho sofferto sconcertato leggendo e vedendo le immagini delle sue scorribande da quarantena: incontri di tennis in Spagna quando i centri sportivi erano chiusi, irruzioni in palestra dove si allenava una squadra di pallavolo con baci e abbracci a tutti senza nessun rispetto dei protocolli (critiche, anzi, a chi li imponeva per gli US Open…), dichiarazioni di guerra ai vaccini, sorrisetti compiaciuti mentre un suo amico con velleità da filosofo – ma fa l’immobiliarista… – in un video diceva: “Essere vivi in questo momento è molto eccitante”.
Sulla bufera che lo sta strapazzando soffiano tutti: colleghi (Nadal e Murray i più severi), politici, tifosi, media… La sua proverbiale allegria, al cospetto del Covid-19, è diventata infantile superficialità che sfiora il crimine. L’ultima bravata è quella che potrebbe costare più cara, a lui in termini penali e ad altri per la salute: senza ancora sapere di essere positivo, ha organizzato il nobilissimo “Adria Tour”, una serie di tornei ed esibizioni nei Balcani a scopo di beneficenza. Con annesse partitelle di calcio e serate di gruppo in discoteca senza distanze, mascherine, cautele di nessun tipo.
Mi costa sangue scrivere la semplice cronaca dei misfatti compiuti da uno degli uomini più famosi al mondo – oltre che per i suoi risultati nello sport – soprattutto per la sua positività, non a un virus ma nei confronti della vita e il rispetto verso di essa. Almeno fino ai tempi della pandemia. Poi, qualcosa è saltato: forse, nel suo fisico perfetto, il virus ha fatto un giro più lungo e prima di arrivare ai polmoni, è passato dal cervello.