LA PESSIMA NOTIZIA NON E’ SUL PUBBLICO, MA SUL COVID

di LUCA SERAFINI – Tamayo Marukawa è entrato nella storia di un giorno: il ministro giapponese con delega sui Giochi olimpici ha annunciato che dal 23 luglio all’8 agosto la più grande manifestazione sportiva terrestre si svolgerà senza pubblico, a Tokyo e dintorni.

Le bandiere con i cinque cerchi sventoleranno in stadi deserti. Silenzio attorno a ogni atleta in gara, a ogni squadra. Né applausi né boati, né trombette né tamburi. L’evento più popolare del mondo sarà ancora e soltanto televisivo, come è stato lo sport fino a poche settimane fa prima di questi Europei di calcio che hanno sparso manciate crescenti di spettatori, restituendo almeno al pallone una facciata di chiassosa normalità.

La tristezza, la malinconia della notizia genera più inquietudine che lacrime: abbiamo vissuto e viviamo di peggio da un anno e mezzo a questa parte. Per di più il Giappone ha risorse sufficienti per recuperare in buona parte quei 10 miliardi di dollari spesi per l’allestimento delle Olimpiadi 2020 slittate al 2021: i biglietti al botteghino ne avrebbero coperti una minima porzione, perché comunque era prevista un’affluenza non superiore alle 5/10.000 presenze a evento.

Non abbiamo tempo né movente per piangere, ne abbiamo invece per pensare che questa decisione è nata come conseguenza della nuova ondata di contagi e dunque dalla necessità di rimettere in stato di sicurezza un Paese spaventato e di nuovo infetto.

Il Giappone è il modello terrestre di efficienza tecnologica, umanamente un po’ lobotomizzata ma funzionale, terra esoterica e spirituale, oasi di vegetazione e paesaggi paradisiaci che credevamo incontaminati. Incontaminabili. In ogni caso, i nipponici sempre primi e migliori nel risolvere e debellare, grazie appunto a quella loro geniale mente meccanica sorretta da una cultura che non rende merito alla ristrettezza dei confini.

Adesso non abbiamo per niente paura delle Olimpiadi senza pubblico, noi che non essendo figli del sole nascente eravamo comunque destinati a godercele da casa in tv. Abbiamo paura piuttosto che quel killer ricominci a colpire negli stadi pieni che sono le nostre case, perché se non ce la fanno i giapponesi, chi mai potrà farcela? Soltanto il 15% della popolazione là è vaccinata, i nuovi casi si stanno avvicinando ai 1000 al giorno con numeri crescenti.

A meno che, per una volta, non si sia avanti noi rispetto a loro. Già: se la questione Coronavirus l’avessimo appunto risolta e debellata prima e meglio noi di loro?

E’ un’ipotesi plausibile, non fosse che al di là della mestizia scenica e del consueto vuoto durante lo show televisivo, cui siamo invece ormai vaccinati ad ogni latitudine, purtroppo l’aspetto più destabilizzante di un’Olimpiade deserta è che se ancora non ne è fuori il Giappone, dal virus, forse significa che ancora non ne siamo fuori neppure noi.

Da troppe parti del pianeta rimbalzano notizie, dati, voci, numeri inquietanti nonostante le campagne di vaccinazione: sono cresciute nuovamente le diversità degli effetti, le polemiche e di conseguenza la nuova ondata di esperti e virologi che discettano sulle varianti.

Il Coronavirus circola ancora con facce ed effetti diversi, con sembianze camuffate, con nomi differenti come i criminali internazionali e le spie, come i terroristi e i killer più efferati che non si arrendono mai, che non smettono mai. Anzi qualche volta in passato hanno persino approfittato, degli stadi pieni e delle Olimpiadi, per consumare i propri delitti e sorprenderci col sangue. Non c’era modo di anticiparli, scoprirli, svelarne l’identità: proprio come sembra stia accadendo ora che cominciavamo a sentirci al riparo.
 

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