Improvvisamente, quei 203 uomini e donne hanno scoperto che il posto fisso è stato congelato e sono rimasti a casa con una scarpa sola. Metafora per niente azzardata perché il Consiglio di Stato ha fermato tutto, accogliendo un ricorso e rimandando la pratica in Camera di consiglio. Così l’altra scarpa, quella che O’ Comandante Achille Lauro prometteva ai potenziali elettori se avesse vinto nelle urne, per ora non s’è vista. Ma è apparso in tutta la sua immaginifica forza evocativa il Votantonio di Totò poi attualizzato da Cetto La Qualunque. Un teatro, un palco, un politico che firma assunzioni a una settimana dalle elezioni. What else?
Digitalizza quanto vuoi, modernizza i costumi, ironizza sul passatismo rurale. Ma alla fine certe immagini piazzate al momento giusto, soprattutto al Sud, fanno sempre un certo effetto. La faccenda del teatro allora provocò maggior stupore del solito perché ad allestirla non fu un candidato paternalista, retrivo con tendenza al reazionario, ma quello ufficiale del global Pd paladino dei diritti e dei precari, che semplicemente si voltò dall’altra parte perché il fine giustifica i mezzi.
Davanti alla frenata del Consiglio di Stato si immagina un certo imbarazzo nel Pd, per ora molto silenzioso. Al contrario, gli sconfitti alle elezioni parlano. «Il decreto del Consiglio di Stato sancisce la differenza tra la fantasia elettorale e la realtà postelettorale. È evidente che i provvedimenti di stabilizzazione sono serviti a drenare consensi», polemizza Forza Italia.
Per ora quei posti di lavoro sono solo sospesi. La speranza è che gli ostacoli vengano rimossi al più presto e che le vere vittime dello show – vale a dire i precari rimasti con il cerino acceso in mano – vedano concretizzarsi i loro sogni, abbiano ciò che è stato loro così solennemente promesso, possano camminare con tutte e due le scarpe. E considerino la “pergamena del posto fisso” un curioso attestato, non una presa in giro da film di Checco Zalone.