LA MIA RABBIA PER QUESTA ITALIA SVENATA DAI TRUFFATORI

Quindici miliardi di euro: detto così, non fa nemmeno tanto effetto, abituati come siamo alla “bodenza di vuogo” di Conte o alle sparacchiate a vanvera di Salvini: ma quindici miliardi di euro sono veramente un pacco di soldi: trentamila miliardi di vecchie lire, ai tempi in cui uno, con un miliardo, viveva da nababbo fino alla settima generazione. Una manovra economica, in tempi normali.

Il fatto è che non sono tempi normali e noi non siamo più un Paese normale, ammesso e non concesso che lo siamo mai stati. Siamo un Paese di truffatori, di imbroglioni o, alla meno peggio, di mantenuti: questo emerge dal report della Guardia di Finanza, secondo cui, negli ultimi due anni, fra truffe incredibili, finti nullatenenti, danni erariali e redditi distribuiti a pera, le marachelle degli italiani truffaldini ci sono costate, appunto, una quindicina di miliardi, milione più milione meno.

Ve ne ho già parlato: gente con lo yacht che si becca il reddito di cittadinanza, camorristi e ‘ndranghetari mantenuti dallo Stato, finti ciechi, finti zoppi, perfino finti morti. Poi, ci sono i dipendenti della pubblica amministrazione, quelli che mettono i soldati portoricani sulla locandina del Milite Ignoto: quelli non rubano, ma, semplicemente, gettano nel water closet i soldi dei contribuenti. Che è un modo ancora più scemo di rubare. E che dire di quei mariuoli che incassavano sovvenzioni e redditi di cittadinanza per migliaia di signori romeni che l’Italia non l’hanno mai vista, nemmeno in cartolina, gli ultimi in queste ore, 20 milioni per 9000 fantasmi? Un esercito di farabutti e di furbacchioni, dilettanti e professionisti del malaffare, che manteniamo noi, coi nostri soldi e la nostra fatica da fessi: perché solo un fesso si fa venire l’esaurimento a forza di lavorare per mantenere questo branco di disutili.

Insomma, siamo aggrediti da un cancro della Nazione: una neoplasia statale, cui si può cercare di porre un argine solo a colpi di bisturi. Perché partire dal presupposto che la gente sia buona e brava e che esista solo qualche mela marcia, che, comunque, si può ricondurre all’ovile, previa comprensione e rieducazione, è un’immensa sciocchezza, figlia di un permissivismo che solo una naturale discrezione mi impedisce di definire “cattocomunismo”. La gente non è né buona né cattiva: la gente è la zona grigia, sono gli ignavi di circostanza. E si comporta bene se le condizioni sono tali da farla agire bene: se le si spalancano le porte dell’illecito, ci si butterà a capofitto, una volta sentito odore di svanziche.

Ma come accidenti si fa in un Paese come il nostro ad elargire una mancia generalizzata come il reddito di cittadinanza, senza immaginare che una legione di questuanti privi di diritto cercherà di appropriarsene.

E, dunque, quale sarebbe la soluzione cimminiana? Ve lo dico senza remore: calci nel preterito. A quelli dei finti romeni e agli impiegati nullafacenti, ai ciechi e agli storpi simulati e a quelli che incassano la pensione della mamma morta da dieci anni: calci e calci e ancora calci nel maledetto preterito. Che significa fuori di metafora far loro restituire il maltolto, fino all’ultimo centesimo: mandarli ad asfaltare le strade e a tirar su i paesi terremotati, se necessario.

Mi dispiace, ma tutto questo è troppo ingiusto, troppo beffardo, nei confronti di chi tira la carretta onestamente, tutti i santi giorni della sua vita, e poi magari schiatta, come un mulo esausto. E’ troppo ingiurioso per chi deve lavorare fino alla vecchiaia, per mantenere uno Stato infingardo e generoso con gli imbroglioni e i fannulloni. E’ tempo di finirla con baci e coccole: bastone e carota ci vogliono. Il bastone per raddrizzare le groppe di chi dico io e la carota…Beh, la carota…

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