Si fa presto a dire che bisogna combattere l’evasione fiscale. In teoria siamo tutti sulla stessa lunghezza d’onda, ma nella pratica qualcuno non è d’accordo. Alcuni, anzi molti, nel tempo si sono specializzati nell’arte della fuga e valli a pescare.
Ecco, l’arte della pesca meriterebbe un po’ di attenzione, perché passi avere difficoltà a rincorrere chi scappa, ma riuscire a mancare pure chi sta fermo immobile richiede un certo talento.
Lo sfondone stavolta è clamoroso, infatti ha fatto clamore. Ma non abbastanza. Il signor Massimo D’Alessio è sempre rimasto dov’era, a Roma in via Biroli 52, ma l’agenzia delle entrate da anni si intestardisce a notificare le cartelle esattoriali in via Birolli. Meglio abbondare che deficere, una elle in più che male può fare?
Tirando le somme, il signor D’Alessio negli anni ha totalizzato un debito di 14 milioni di euro nei confronti delle casse dello Stato, cioè di tutti noi, ma siccome non ha mai ricevuto la notifiche, quanto dovuto è finito in prescrizione e chi si è visto si è visto.
In mezzo avvocati e cause legali, ma alla fine l’erario, come i giornali e l’editoria in genere, è costretta a rimpiangere il correttore di bozze vecchio stile, preparato sulla grammatica come sullo stradario, sull’onomastica come sulla convenienza. Se la traduzione in genere corrisponde sempre a dire quasi la stessa cosa e mai esattamente la stessa in realtà, l’errata copiatura di un nome, oltretutto reiterata per anni, corrisponde a dire tutt’altro, con le conseguenze da commedia all’italiana riportate dalle cronache in questi giorni.
Hai voglia di parlare di modernizzare, di computerizzare, di automatizzare, di semplificare, se poi ti scappa una lettera di troppo e va tutto a gambe all’aria. Hai voglia di inseguire gli evasori, se nemmeno ti riesce di colpire chi sta fermo immobile.
Questione di mira e questione soprattutto di controllo, che come è noto costa fatica ed è quasi sempre tempo sprecato. Quasi sempre e fino a prova contraria.