LA GORILLA TRISTE CONDANNATA ALL’ERGASTOLO DALLE CARTE BOLLATE

Nessun reato, nessuna colpa, nessun processo. Semplicemente, il destino. Persino gli animali ne hanno uno, e quello di Bua Noi, “piccolo loto” in lingua thailandese, è stato particolarmente crudele: è un gorilla femmina, ha 33 anni e li ha trascorsi tutti in carcere. In gabbia. I primi da cucciolo in uno zoo tedesco, poi dietro le sbarre all’ultimo piano di un palazzo di Bangkok. Non conosce maschi, non è stata né mai sarà madre, non è stata né mai sarà libera. Che ne sa della vita che i gorilla trascorrono in Africa, in natura, in strette reti sociali, in gruppi numerosi e allegri. In famiglia. Che ne sa della vita.

Di tanto in tanto, qualcuno in Thailandia si è occupato di Bua Noi, chiedendone la libertà. Il Ministero della risorse naturali e dell’ambiente ha offerto 800.000 euro per restituirla alla sua terra, ma i proprietari hanno rifiutato. Il Governo ha chiesto che venisse trasferita in una riserva, la risposta è stata ancora un no. Sono state promulgate leggi sul traffico di animali selvatici e sui loro diritti, ma c’è un buco sugli zoo privati e sugli esemplari non indigeni. Una trappola burocratica dato che, appunto, Bua Noi fu regolarmente acquistata all’estero da un giardino zoologico. Niente da fare, carte e marche da bollo frenano la giustizia anche se si parla di gorilla.

Nei giorni scorsi qualche anonimo ha imbrattato le pareti del centro commerciale, con scritte di vernice che chiedevano la “liberazione del primate più solo e malinconico del mondo”. Per tutta risposta, i dirigenti hanno offerto una ricompensa di 2500 dollari a chi fornisse informazioni “su questi teppisti”. In un comunicato di 6 pagine, hanno aggiunto che “Bua Noi è stata sempre ben curata, costando più di quanto abbia reso. Nessun cittadino in nessun paese del mondo ha attaccato qualcuno per possesso di gorilla, ma qui da noi sì”.

Sono loro, gli sdegnati: i carcerieri.

Il cantautore francese George Brassens ha scritto nel 1947 “Le gorille”, canzone a lungo censurata: raccontava di un gorilla che attaccava un giudice per vendicarsi della sua immeritata cattività. Ripresa in Italia da Fabrizio De André negli anni Sessanta, era un inno contro la pena di morte. Quella riservata agli uomini. Del gorilla in quanto tale, degli zoo, delle gabbie per gli animali, interessava poco anche a loro, se non come simbolo.

Nel 2023 ne abbiamo un altro, Bua Noi, che gorilla non è mai stata, che da gorilla non ha mai vissuto. Dalla sua cella, ormai senza più alcuna curiosità, guarda quegli strani esseri viventi che da fuori la indicano, la fotografano, la filmano. Non capisce, non sa dire se siano uomini, donne o animali, perché non ne ha mai conosciuti di persona.

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