Anvedi la compagna Ferilli che colpo da maestra. Roma è fetida come mai, per via dei rifiuti, dei cassonetti che esondano. Qua è là vengono trasformati in termovalorizzatori di quartiere da qualche intrepido: visto che l’impianto tarda a essere impiantato, facciamo noi, ‘ie diamo foco a tutta sta monnezza e chi s’è visto s’è visto, una sfiammata e se riparte.
Lei però è la compagna Ferilli, mica può far la piromane, deve mettere a matrimonio belle idee, bei principi con aria pulita e decoro. E allora via con il selfie: sotto casa ce sta il negretto che bazzica e perché non ingaggiarlo per una bella ripulita? Qualche euro, ‘na piccola (o grande?) ricompensa e le vie del quartiere scintillano. Pulite come mai, forse pure profumate.
Sono i miracoli della schiavitù con l’upgrade, due, tre, quattro punto zero. L’immigrato ha bisogno, gli sgancio la grana, lui ripulisce i cassonetti e poi ci facciamo pure l’autoscatto. Vedi quanto sono bravi e decorosi questi negretti senza occupazione?
Lo sono, i più lo sono certamente, come chiunque, ma serve questo? Serve il selfie? E soprattutto, vista la tua posizione nel mondo dello spettacolo e tutte le conoscenze che hai, perché non gli trovi un lavoro? Perché i cassonetti e la spazzatura non li ripulisci tu? Perché non ti fai aiutare dal tuo compagno, o marito, non so, o da tuo cugino, tuo nipote, dai tuoi amici?
Perché l’immigrato e perché il retorico, squallido selfie? Aveva ragione Goethe, si trovano a Roma vestigia di una magnificenza e di uno sfacelo tali, che superano l’una e l’altro la nostra immaginazione.
Daje.