LA DIGNITA’ CHE VALE 280 EURO AL MESE

Pur convinto che nel lavoro la disposizione al sacrificio dei giovani non sia proprio ai massimi storici e pur convinto che agli esordi delle proprie carriere lavorative vadano messi in conto trattamenti non sempre congrui, va detto che c’è un limite a tutto e c’è un limite anche al tetto, quello minimo salariale, tema rovente in questa come in ogni altra stagione.

Ogni tanto salta fuori qualche datore di lavoro che alla mancanza di voglia di lavorare dei giovani si aggrappa con una faccia tosta improponibile.

È il caso della signora di Napoli che ha incassato il rifiuto di una ragazza di 22 anni per un impiego come commessa, con conseguente indignazione della titolare stessa e rimbrotto generazionale come da copione e come viene comodo.

Un rapido calcolo, per quanto approssimativo: settanta euro a settimana, per dieci ore lavorative al giorno, escludendo i sabati che però non sono esclusi, e un totale di 280 euro al mese, fanno su per giù un euro e venti centesimi all’ora, come dire che allo scoccare del sessantesimo minuto la ragazza ha diritto a un caffè, liscio liscio, senza decorazioni.

La ragazza ha usato la parola “insulto” nelle sue rimostranze postate su TIk Tok e sfido chiunque a darle torto. Se hai una passione sfrenata, hai l’occasione di coltivarla e agli inizi ti si prospetta un poco di praticantato non riconosciuto ci sta, come c’è sempre stato. Molti personaggi illustri, ad esempio lo chef Cannavacciuolo, hanno espresso solidarietà alla ragazza, di nome Francesca, sottolineando appunto che in giovane età in effetti a loro è successo di lavorare per alcun periodi gratis, per scelta, per inseguire un sogno. Ma non è certo questo il caso.

La signora, la titolare, deve solo vergognarsi. A quelle condizioni può giusto trovare un volontario, che immagino invaghito di lei, e poi mi chiedo: sempre a quelle condizioni, che razza di contratto avrebbe stipulato alla ragazza? Quali linee nazionali avrebbe seguito? Oppure, come pare di intuire, non è che il rapporto di lavoro sarebbe stato in nero? Magari nero su bianco, come la divisa della dipendente, ma pur sempre nero.

Il rimprovero va a me stesso innanzitutto: se vuoi credibilità e se vuoi pungolare il giovane sulla questione dell’impiego, della flessibilità, del sacrificio, devi essere serio, onesto e attendibile tu in prima istanza. La signora è furba, cavalca l’onda rendendola stereotipo, ma non funziona così. Se mi offri le briciole rimaste sulla tovaglia, o magari cadute dal tavolo, non aspettarti il mio ringraziamento, perché un contratto, un’ offerta, persino un regalo, devono essere innanzitutto equi e soprattutto rispettosi.

Abbiamo gli stipendi più bassi d’Europa, così ci sentiamo dire in continuazione, e così sarà ancora per lungo tempo, a giudicare da questi episodi che tradiscono una mentalità avida e profittatrice. È la storia d’Italia, in definitiva, di certa Italia, quella individualista e impenitente: se sto bene io, il resto che importa, il Paese se ne farà una ragione, faranno le riforme. E a proposito di riforme, vedi l’effetto domino, è l’Italia che pensa da sempre di mettere le pezze alla situazione corrente e mai un pensiero, un investimento a lungo termine. Perché è chiaro, l’investimento a lungo termine, quello lungimirante, non porta voti, vuoi mettere dare soddisfazione immediata all’elettore, dargli a intendere che abbasserai le tasse?

E del futuro chi se ne importa, i figli s’arrangeranno. Del resto, come disse il poeta, del doman non v’è certezza.

E comunque, la parola al miglior offerente, chi offre di meno?

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