Dalla provincia lombarda arriva un filone che sembra essersi guadagnato addirittura una doppia etichetta: una classica (“baby gang”), e una originale, “caso Varese”. La combinazione di queste due etichette, lanciata dal “Corriere della Sera”, indica una serie di episodi accaduti a Varese e provincia che vede protagonisti in negativo un gruppo di ragazzini (e ragazzine, in numero preponderante, a quanto pare) dai 12 ai 14 anni che sembrano aver trovato un passatempo davvero particolare: aggredire i loro coetanei e rapinarli.
Agiscono nei parchi, nelle strade isolate, nelle stazioni, sui treni locali e perfino a scuola. Individuato un ragazzino o una ragazzina isolata, la accerchiano e la aggrediscono. Botte da orbi e, infine, la rapina. La gang arraffa quel che capita: denaro, telefonini, cuffiette, collanine. In mancanza d’altro, anche una sciarpa o un cappello: tanto per dire di aver portato a casa un trofeo.
Di “baby gang” di questo genere ce n’è più d’una e capita che vengano alle mani tra loro, forse contendendosi la palma per formazione più imbecille: non di rado queste esibizioni avvengono nel centro città, sotto gli occhi allarmati e perplessi degli adulti. I casi accaduti a Varese città e nel Varesotto hanno suggerito al “Corriere” l’espressione “caso Varese”, ma episodi del genere – e non pochi – sono accaduti anche nel Comasco. E anche altrove.
Accanto ai resoconti di cronaca e all’individuazione del fenomeno, i media provvedono di solito a fornire qualche sussiegosa spiegazione, tra il sociologico e lo psicologico. Nel “caso Varese” l’esperto di turno del “Corriere” sottolinea la mancanza di valori dei ragazzi (“per loro conta solo il denaro”) e la complicità dei genitori che, davanti alle contestazioni delle autorità, “li difendono”. Altri media parlano di questa inclinazione alla violenza come frutto psicologico del lockdown.
Noi, che non siamo i loro genitori, restiamo atterriti davanti alla pianificazione della malvagità di cui questi ragazzi danno prova e che ci sembra al di sopra delle loro forze anagrafiche e intellettuali: nei giovanissimi supponiamo sempre una sorta di purezza che ci amareggia veder corrotta. Quanto alla difesa a oltranza da parte dei loro tutori, come stupirsi? L’autorità oggi ha torto comunque, ed è vista come un bieco mezzo di prevaricazione per impedirci di esercitare la “libertà” (intesa come diritto a fare i comodi propri anche danno degli altri) e non come sforzo, sia pure imperfetto, di raggiungere un compromesso in direzione del bene comune.
Non appena finito di leggere e di riflettere, a noi, passata l’inquietudine, viene anche da pensare come di adolescenti o pre-adolescenti tormentati, vuoti, portatori di precoce nichilismo, sentiamo parlare da anni: i primi di cui abbiamo avuto notizia oggi sono nostri coetanei e qualcuno di loro sarà perfino più vecchio. Questo per dire che anche le “baby gang” un giorno non saranno più “baby”: la maggior parte dei membri si scioglierà dall’influenza del più forte e del più spavaldo e incomincerà a scalare la vita come tocca a tutti. Diventeranno, costoro, adulti più o meno fallati, certamente nessuno perfetto ma, probabilmente, in maggioranza saranno cittadini accettabili anche se non esemplari. Qualcuno di loro scriverà perfino di “baby gang “ e intervisterà sociologi. E non gli verrà neanche il sospetto di farsi un autoritratto.