IO, NELLA SQUADRA CHE HA VINTO PER CHICO FORTI

La primissima cosa che ho fatto, con gli occhi lucidi e un groppo in gola, è stata mandare un messaggio a Vilma e Gianni Forti, gli irriducibili zii di Chico: due combattenti, due capisaldi dell’imponente campagna che ha portato all’epilogo tanto atteso. Ma a festeggiare venerdì sera 1 marzo siamo stati in tanti, tantissimi, quando Giorgia Meloni ha postato il video in cui annunciava la firma per il trasferimento di Chico Forti dalle celle della Florida a quelle italiane, dopo una battaglia iniziata il giorno della sentenza che nel 2000 condannò il nostro connazionale all’ergastolo. Ora Chico potrà scontare la sua pena nella terra della madre Maria, 95 anni, 30 in più del figlio che li ha compiuti lo scorso 8 febbraio.

A contattarmi sui social nel 2010 fu un gruppo di donne, “Le leonesse di Chico”, per fiducia spontanea, a pelle insomma, avendo letto che sono appassionato di criminologia e di giustizia, ma soprattutto per un commento che feci a un loro post: “Un’ingiustizia come questa potrebbe accadere a chiunque ed è un’ipotesi che mi terrorizza”. Mi invitarono a una conferenza che, in un palazzo milanese in Corso Venezia, tennero la senatrice Emma Bonino insieme con Ferdinando Imposimato, magistrato e presidente onorario aggiunto della Corte suprema di cassazione. Parlarono del caso Chico Forti.

Ex velista e produttore televisivo era stato incriminato di un omicidio (15 febbraio del 1998, quando venne arrestato per l’uccisione di Dale Pike, figlio di Anthony Pike, dal quale lo stesso Forti stava acquistando il Pikes Hotel), al termine di un lacunoso, sbrigativo processo che non aveva prodotto alcuna prova schiacciante della sua colpevolezza, ma che appariva piuttosto come una vendetta per un documentario – realizzato da Chico negli USA – in cui si sollevavano numerosi dubbi sulla vicenda Cunanan, l’assassino di Gianni Versace, e sulla sua eliminazione (durante una disperata fuga) da parte delle forze dell’ordine di Miami Dade.

Da quel giorno mi appassionai alla vicenda, tanto che la criminologa Roberta Bruzzone mi invitò ad essere il moderatore della presentazione del suo libro “Il grande abbaglio”, nel 2013, dedicato alla vicenda di Chico. Da allora politici, giornalisti, avvocati italiani e soprattutto “Le iene” acquisirono elementi a sostegno della tesi di innocenza del nostro connazionale e condussero piccole e grandi battaglie a suo sostegno: Andrea Bocelli (che è andato a trovarlo in carcere a Miami come Jo Squillo, fervente attivista pro Chico Forti), Enrico Ruggeri, Radio 105, l’artista Nello Petrucci e numerosi altri. La Curva Sud del Milan gli dedicò uno grande striscione in due diverse occasioni, ma nel frattempo si sono moltiplicati i seguaci del “Chico Forti free” (esiste da anni il sito “Chico Forti official website”) e io stesso ho partecipato a numerosi altri incontri e scritto molti articoli sulla vicenda.

Inchieste, interviste a elementi della giuria di quel processo, raccolte testimonianze di investigatori americani, confessioni a mezza bocca di alcuni giudici… sono proliferate: per la cronaca, al fianco degli immancabili colpevolisti, il più accanito dei quali il “poliziotto in quiescenza” Marco Strano, che si è preso anche la briga di scrivere un libro per smontare quello che definisce solo un diffuso sentimento popolare “come la raccolta delle ciliegie”, senza nessun fondamento giuridico. Tesi smontata per interi lustri dalla Bruzzone, da Imposimato e dalle Iene.

Questa era la prefazione del libro “Il grande abbaglio” di Roberta Bruzzone, che in seguito denunciò come una raccolta fondi per riaprire il processo fosse in realtà una fonte di spesa libertina da parte di un sedicente amico dell’ergastolano Forti:

“Eccellente documentarista, specializzato nella produzione di documentari e servizi sugli sport estremi, Enrico ‘Chico’ Forti si trasferisce da Trento in America, in cerca di fortuna, sfruttando la sua intelligenza eclettica ed il suo estro vulcanico. Si stabilisce in Florida, il Sunshine State. Sposa una modella californiana dalla quale ha tre bellissimi figli. Tutto sembra andare per il meglio nella vita dell’imprenditore italiano. Ma, improvvisamente, arriva ‘il grande abbaglio’ a cambiare drasticamente il corso degli eventi: un’accusa di omicidio di primo grado e una condanna all’ergastolo senza sconti. Ma, soprattutto, senza prove. Ad incastrarlo c’è una bugia, soltanto una bugia, raccontata per paura nel Paese sbagliato, nel momento sbagliato e alle persone sbagliate. In America, patria delle mille contraddizioni, la menzogna è un delitto grave. Con la mente offuscata dalla paura e senza alcuna assistenza legale, Enrico Forti commette un tragico errore: in un primo momento nega alla polizia di Miami di aver incontrato la vittima. Il giorno dopo si presenta spontaneamente per raccontare come sono andate realmente le cose. Ma è troppo tardi. Da quel momento la sua vita viene sconvolta. Fino al punto di non ritorno: la condanna al carcere a vita per un delitto che non ha commesso. Dopo 13 anni di detenzione (il libro fu editato nel 2013, come detto, ndr) il suo grido di innocenza dal carcere è ancora forte e chiaro. Intento del volume è dimostrare la sua piena estraneità rispetto al delitto di Dale Pike”.

Che il Governo italiano, prima con Di Maio poi con la Meloni, si sia preso a cuore questo caso, e che gli USA abbiano infine ceduto (il processo in assenza di prove inconfutabili non può essere riaperto, la sede della detenzione però può essere cambiata sebbene gli americani – contrariamente a noi – siano estremamente riluttanti in certe concessioni) è un’ulteriore dimostrazione che qualcosa nei conti non quadrava. Non ha mai quadrato.

Posso serenamente affermare di non avere molti dubbi dopo aver letto libri, incartamenti, seguito inchieste e documentari, seguito l’attività di persone super partes come appunto Emma Bonino, Ferdinando Imposimato e Roberta Bruzzone: considero il ritorno di Chico, sia pure in carcere, un mio piccolissimo successo professionale e umano per il poco che ho svolto per lui e per la sua causa in questi anni. Posso serenamente convivere con la mia coscienza perché non ho mai pensato un solo momento che Chico e i suoi adepti siano tutti geniali eredi di Agatha Christie: per me lui è innocente e oggi – col suo rientro in Italia – solo in piccolissima parte viene fatta giustizia.

Quella piccolissima parte è però enorme nel cuore di mamma Maria, di Gianni e Vilma, Bocelli, Ruggeri, Squillo, Imposimato, Bonino, le Iene… E nel mio.

Un pensiero su “IO, NELLA SQUADRA CHE HA VINTO PER CHICO FORTI

  1. Davide dice:

    Certo è che resta l’amaro in bocca.
    In una nazione che si vanta di essere paladina delle libertà, di fronte a una condanna senza prove e a tanto prodigarsi di personaggi politici, giornalisti, cantanti, trasmissioni televisive e persone comuni un nuovo processo non più sommario dovrebbe essere il minimo, ma sappiamo che da quelle parti non sbagliano mai… Mi piacerebbe sapere e non so se hai affrontato questo argomento, se c’è la minima possibilità che ciò avvenga adesso in Italia.

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