LA DITTATURA DEI PROCURATORI-CAPIREDATTORI, E LA STAMPA TACE

Se qualcuno si fosse preso la briga di contare quanti incidenti stradali, quanti furti, quante rapine sono state raccontate dai giornali in Italia dal 14 dicembre scorso a oggi, e avesse confrontato il numero con lo stesso periodo dell’anno scorso, potrebbe trarre la conclusione che improvvisamente il nostro è diventato un Paese quasi perfetto.
Peccato che non sia così. E la colpa stavolta non è dei soliti giornalisti. La colpa è di un decreto legislativo, il numero 188 dell’8 novembre scorso, entrato in vigore – appunto – il 14 dicembre. Con questo decreto sono affidati al Procuratore della Repubblica poteri e responsabilità abnormi, dittatoriali, in termini di informazione. Solo lui, una sola persona per ciascun tribunale, ha infatti l’autorità e il compito di “comunicare le notizie relative ai procedimenti penali e di diffondere informazioni su qualsiasi evento che possa richiedere l’apertura di un’indagine”. Di conseguenza, il Procuratore può anche impedire alle forze dell’ordine di comunicare ai cittadini – di norma tramite i giornali e le televisioni – che cosa è avvenuto.

Come al solito, quando si parla di giustizia in Italia si riesce a trasformare in disastro anche la migliore delle intenzioni. Perché il decreto in questione nasce per recepire una direttiva europea che ha un obiettivo condivisibile: «Assicurare il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili». In Italia, dove un avviso di garanzia viene di norma comunicato dalle Procure con conferenze stampa ed enfasi simili a una sentenza capitale, sarebbe una rivoluzione. In realtà, non accadrà nulla di ciò. Gli avvisi di garanzia continueranno a “filtrare” perché una pluralità di soggetti ne è a conoscenza, e gli indagati saranno dipinti come criminali incalliti e provati fin dall’apertura del fascicolo. Salvo poi quindici anni dopo ricevere un trafiletto in ultima pagina per l’assoluzione «perché il fatto non sussiste».
Quello che sparirà dalle cronache, invece, sono le “normali” notizie come i furti, le rapine, perfino gli incidenti stradali. Perché la stragrande maggioranza dei Procuratori ha già attivato questo incredibile potere che è piovuto nelle loro mani, estendendolo a dismisura: non solo decidendo cosa tenere nascosto, ma anche vietando alle forze dell’ordine di confermare o smentire ai giornalisti alcunché. Così, della notizia della morte di un ragazzo di vent’anni in un fossato di campagna mentre provava una motocicletta non troverete neanche una riga perché tutto è avvenuto lontano dagli occhi di altri che non fossero i soccorritori o i carabinieri, vincolati al silenzio pena una stangata della Procura. E della rapina milionaria nella villa di un ricco e noto personaggio nulla si saprà se non per qualche spiffero (e come tale difficilmente verificabile) della servitù.
Non ci credete? I due esempi citati sono veri, e sono accaduti in provincia di Venezia. Casi analoghi si stanno registrando in tutta Italia, almeno laddove i procuratori hanno compreso l’abnorme potere che si ritrovano tra le mani e ne hanno subito approfittato emanando direttive drastiche e in alcuni casi surreali. Giacché a lorsignori della “presunzione d’innocenza” interessa ben poco: molto di più interessa la possibilità di decidere che cosa i giornali possono o non possono sapere e di conseguenza scrivere.
“Tutto va bene, madama la Marchesa”: come nelle dittature sovietiche, o ai tempi del Minculpop. E tutto avviene nel disinteresse dei cittadini (e già questo sarebbe grave), ma soprattutto degli organi di informazione e dei giornalisti, che salvo rari casi non hanno denunciato questa indecente e anticostituzionale sordina messa alla circolazione delle informazioni. Ci mancava il procuratore-caporedattore, che decide lui che cos’è e cosa non è una “notizia”. Una vergogna per cancellarne un’altra. Senza nemmeno riuscirci.

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