INCHINARMI A BATTIATO CON LA VERITA’: IMMENSO, MA “LA CURA” NON LA SOPPORTO

di ELEONORA BALLISTA – Caro direttore, da quando ho appreso la notizia della morte di Battiato sono in preda a un’inquietudine che non posso esternare a nessuno, se non forse a una persona che fa il mio stesso mestiere, perché è l’unica che credo possa darle un senso.

Ed ecco perché ti scrivo.

La prima cosa che ho pensato quando ho saputo della scomparsa del cantautore (lo chiamo così per semplicità e rapidità del discorso, ma è chiaro che gli appellativi per Battiato potrebbero essere altri, anche molto diversi), è di un cinismo che non voglio credere mi appartenga. Eppure c’è ed è un pensiero irriferibile: “La notizia della morte è arrivata stamattina. Bene, c’è tutta la giornata per documentarsi e scrivere più pezzi che delineino un quadro completo dell’artista e dell’uomo”.

Forse, con altrettanto “fattivo cinismo”, espressione che reca in sè la velocità e la precisione di un fendente inferto da una lama molto affilata, potresti rispondermi che ho reagito da giornalista. E la cosa, in effetti, non potrebbe che farmi piacere.
Ma l’inquietudine urla, e ancora, dopo tanti anni di lavoro, non riesco ad abituarmi ai morti, che per tanti di noi, nel caso per esempio di incidente stradale, “sono meglio tre di uno”, perché “si va avanti una settimana ad aprirci il giornale”.

È questo, forse, il mio limite professionale: non riesco ad essere spietata come invece mi è capitato di vedere in altri colleghi, per lo più maschi (ma questo del genere credo sia solo un caso dettato dai numeri,  che vedono più giornalisti che giornaliste occuparsi di cronaca nera).

Ma torniamo a Battiato. C’è un’altra cosa che oggi nessuno dice. Chissà, forse sono l’unica che la pensa: il brano “La cura” non mi piace. Non mi è mai piaciuto.
Sono io sbagliata, di sicuro. Ma non mi piace.

Confesso di non essere una tale esperta di Franco Battiato da conoscere tutta la sua produzione, questo no. Io sono come la stragrande maggioranza delle persone, quelle che hanno cantato “Bandiera bianca”, che conoscono a memoria il testo di “Centro di gravità permanente”, una sorta di filastrocca che si faceva a gara per ripeterla alla perfezione. E ho amato anche moltissimo le collaborazioni dell’artista siciliano con Alice per quella sua meravigliosa “Per Elisa”, grande vittoria a Sanremo nel 1981 (avevo 11 anni e non sapevo chi fosse Battiato, ma la canzone era bellissima), o “I treni di Tozeur”, uscita un po’ dopo, nel 1985.
Ma “La cura” no, quella proprio no.

E dunque ecco un’altra domanda, l’ultima, promesso: si può celebrare un artista, riconoscendone il valore, anche senza benedire il suo brano di riferimento?

Io spero di sì.

Perché in questo modo, e solo in questo, cioè con la più ferrea verità, posso esprimere un pensiero di sincero dispiacere per la scomparsa di una grande persona, includendo in queste due sole parole anche l’immensità dell’artista, che mille altri meglio di me sono impegnati a celebrare in questo momento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *