IL TRIONFO DELL’IDIOCRAZIA

“Idiocracy” è un bel film del 2006: vi si descrive un futuro distopico, in cui il numero di cretini è talmente alto da minacciare l’estinzione del genere umano. Una parodia, una commedia grottesca, sia pure graffiante: figuriamoci se l’umanità potrebbe mai essere messa alle corde dal coefficiente di stupidità!

Invece, come talvolta accade, la realtà raggiunge e supera la fantasia creativa anche del più visionario dei registi: basti pensare allo sketch di Loretta, nel film “Brian di Nazareth” dei Monty Python, in cui un militante giudeo dell’anno zero vuole essere considerato una donna e partorire un figlio. Allora si rideva: oggi, ci siamo. La realtà fenomenica è chiusa all’angolo: è diventata solo un fastidioso dettaglio. E ogni più sfrenato delirio assume parvenza di esercizio fattibile e praticabile.

Con l’aggravante, come vi dicevo, della suprema idiozia: di una desolante, avvilente, colossale stupidità. Saranno i videogiochi, saranno le letture sbagliate: fatto sta che qualcuno ritiene normale che un ragazzotto tatuato da capo a piedi, che proferisce apoftegmi da quattro soldi, leggi Fedez, possa decidere i processi legislativi di un Paese moderno e democratico. Gli stessi, presumo, disposti a pagare dell’acqua di rubinetto, commercializzata dalla consorte del predetto ragazzotto, quanto un Sassicaia del 2005: idiocrazia, null’altro che idiocrazia. Anche se, per la verità, gli idioti, in questo caso, non sono quelli che comandano, ma quelli che obbediscono.

Il minimo del minimo, tuttavia, è stato toccato in questi giorni, con la faccenda di vestirsi da donna, per protestare contro gli stereotipi di genere: una sorta di travestitismo solidale. Hanno cominciato gli studenti del liceo “Zucchi” di Monza: una scuola con cui, noi del “Sarpi” di Bergamo, un tempo ci confrontavamo sulle traduzioni di Plutarco e Lucrezio. Oggi, invece, ci si potrebbero misurare i tacchi o scambiare i collants, visto che questi genietti hanno pensato bene di presentarsi a lezione con eleganti tailleurs e sobri kilt, da studentessa anni Settanta. Non ho notato se avessero anche le borse della Tolfa: in tal caso, la somiglianza con la mia morosa del liceo sarebbe stata folgorante. Fatto sta che gli illuminati studentelli hanno immediatamente fatto propria la protesta. Cento anni fa, faceva scalpore una donna in pantaloni: oggi, un uomo con la gonna, al massimo, fa sorridere. Di pena.

Perché questa è davvero idiocrazia allo stato puro: non a caso, alcuni tra i più imbolsiti personaggi dello spettacolo si sono affrettati a cavalcare l’onda, magari sperando di ricavarne un ingaggetto in tv, una comparsata, una pizza offerta. Se ci sono di mezzo i guitti, state pur sicuri che si tratta di idiocrazia.

Ma è l’idea che sovrintende a tutta questa operazione che è stupida nel midollo: abbattere gli stereotipi, abbattendo la realtà. Secondo voi, perché mai le donne hanno sempre indossato la gonna, piuttosto che i pantaloni? Voglio aiutarvi. In parte, riguarda la posizione in cui le signore mingono. Perché siamo fatti diversi, per la miseria: possibile che si debba spiegare alla gente che se piovono sassi non è come quando nevica?

Una sola cosa accomuna davvero uomini che vogliono sembrare donne e donne che vogliono sembrare uomini: l’idiocrazia. La maledetta, discriminante, onnipresente idiocrazia. Non ci estingueremo neppure stavolta: ma la tentazione di invocare un diluvio, credetemi, è forte.

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