IL SALUTO A NAVALNY, MARTIRE DELLA LIBERTA’

Sognava una Russia migliore, una Russia libera e democratica. Se n’è andato cullando il suo sogno, in un tetro carcere russo, a 47 anni. Navalny e la sua incredibile storia si fermano qui: le fonti ufficiali parlano di embolia, tutto il mondo sa che c’è dell’altro, che è tutto fuorchè destino. Oggi, 16 febbraio 2023, la libertà conta un nuovo martire: questa la sola verità.

In questo mondo nostro, dominato dai falsi e dai falsari, dai mestatori e dagli imbonitori, ci ritroviamo a salutare uno dei personaggi più grandiosi del nuovo Millennio, un singolare Millennio fin qui così sovraffollato di stupidi miti e così arido di grandi anime.

Nessuno farà santo Navalny, Navalny probabilmente non lo era. Ma nella globalizzazione che globalizza i peracottari al potere, i populisti senza popolo, i leader senza leadership, in altre parole nell’epoca dell’uomo senza qualità, questo dissidente russo emerge senza spendere troppe chiacchiere, senza lasciare torrenziali discorsi e ponderosi volumi, ma restando sospeso nell’atmosfera più leggera e più pulita con la sola forza dell’esempio. E di uno scarno, formidabile messaggio: “Non abbiate paura”.

Era all’estero, in Germania, per essere curato da un avvelenamento, ha voluto tornare nella sua Russia sapendo che non ne sarebbe uscito più, tanto meno da vivo. Eppure è tornato, agnello sacrificale del potere forzuto e tenebroso di un regime cinico. Alla fine l’hanno spedito in una galera al di là di ogni confine umano e di ogni confine logico, in mezzo alla desolazione e al gelo, soprattutto il gelo della ragione. E lì è morto, senza piegarsi mai, a schiena dritta fino in fondo. Non sarà mai santo su nessun calendario, ma è santo subito nel mondo ideale di chi crede alla libertà come al bene supremo della vita umana. Un esempio, un modello. Un Uomo come dovremmo ambire tutti a diventare.

Invece siamo qui, a trastullarci con i miti nostri, prima le Ferragni e adesso gli Amadeus, siamo tiktoker a tempo pieno e a testa bassa, persi nelle dispute del nulla. Quello che Navalny rappresenta, tanti di noi nemmeno lo coglieranno e lo comprenderanno. Un morto come un altro. Navalny chi? E pazienza se la sua morte in carcere, nel carcere duro di un regime che non ammette dissensi, vale nella storia quanto l’invasione dell’Ucraina. Qui il morto è uno solo, ma dice da solo quanto può dire un intero popolo aggredito e soffocato. Parole mute, eppure forti come grida, grida che nessun Putin riuscirà mai a zittire: poche parole che dicono semplicemente questo, sì, la dittatura è davvero il peggio di noi.

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