IL RUGGITO DEL VINILE

Alcuni anni fa, un gruppetto di ragazzi mi chiese, con un’espressione stupita e di compatimento: “Ma scusi, lei che razza di cd ha? Così grandi, che lettore possiede e dove li può ascoltare?”.

Trattavasi di LP, dunque long playing, microsolco a trentatré giri. Tentai di spiegare l’arcano, ma la risposta fu soltanto una serie di risatine indulgenti.

Giunge dagli Stati Uniti la notizia che la vendita dei vinili ha superato quella dei cd. Il rapporto della Recording Industry Association of America specifica che nel 2022 sono stati venduti 41 milioni di microsolco, crescita del 3 per cento, contro 33 milioni di cd, che hanno segnato una flessione del 28 per cento.

Presumo che i ragazzi di cui sopra siano sciuretti ed abbiano compreso, bravi ma lenti, la topica di quel giorno. W il vinile, viva il 45 e il 33 giri, viva il juke box, viva il mangiadischi, viva tutta quella roba lì che ha accompagnato adolescenza e maturità di più generazioni, prima dell’avvento delle musicassette e quindi dei compact disc per non aggiungere tutti gli altri dispositivi che forniscono musica. Ma nessuno con il fascino del microsolco, del giradischi, della gettoniera del juke box, il rito magico, girare la ruota, scegliere il brano, inserire moneta da 50 lire per un brano, lire 100 per tre ballabili, premere il bottone e via andare con le danze, sul mattone o twist, hully gully e rock and roll, romantiche melodie per l’acchiappo, grazie, prego, scusi, tornerò, tra sbandamenti, smarrimenti e rossetto lasciato sul colletto della camicia o giù di lì.

Tralascio i 78 giri, in vetro o lamina di metallo, ne posseggo un tot con allegato il grammofono e la sua dotazione di puntine in zaffiro o acciaio, i bauli che contengono duemila e più canzoni sono uno scrigno con una storia e un’identità precise, si portano appresso ricordi forti, rispolverano immagini di feste in casa o balli in spiaggia, calda l’atmosfera contro il ghiaccio del cd, anche nel suo colore. Il vinile è fantasia libera, le copertine erano (e sono) opere d’arte, Andy Warhol e gli Stones per Sticky Fingers, Keith Haring e Bowie per Let’s Dance, Bansky e i Blur per Think Tank, e altri ancora, materiale da collezionisti, memorabilia, pepite preziosissime, fette della nostra adolescenza e perché no maturità, e a seguire verso una certa età che non si sa mai bene che cosa effettivamente sia, però mi dicono trattarsi di boomer.

Nulla contro i cd, ho già dato. Però dai, metto sul piatto “Sapore di sale”. Va bene su tutto.

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