BISOGNA PREPARARSI PER AVERE IN ALBERGO IL DISABILE

San Martino di Castrozza, montagna vera e uno dei casi del momento: a una famiglia con figlio disabile viene chiesto di accomodarsi in una sala appartata, durante un pranzo, perché alcuni clienti sono infastiditi, dai versi e non si capisce bene da cos’altro.

Indignazione diffusa e illimitata, tentativo di scuse dei titolari, i quali, dopo aver offerto alla famiglia una sala “più intima”, a distanza di ore ammettono di aver affrontato la questione in modo comunque poco corretto. La famiglia di riserva di avviare una causa e di chiedere un euro come risarcimento, a titolo simbolico per una causa ad altissimo contenuto umano.

Anche la politica interviene, ovviamente con la lettura scontata e che si può immaginare, tutti buoni da una parte, tutti cattivi dall’altra. Ma chi ha un briciolo di senno, e chi magari ogni giorno affronta simili attriti, ha il dovere di elaborare l’accaduto in modo meno superficiale.

È evidente che la reazione dei clienti e la conseguente azione degli albergatori sia umiliante per Tommaso e per la sua famiglia, ma come al solito si resta in superficie. La famiglia aveva un albergo di fiducia che non ha potuto ospitarla, ha dovuto ripiegare sull’hotel Colbricon, un hotel non preparato, non educato, un hotel e una clientela certo intolleranti, ma allo stesso tempo vittime, per quanto suoni paradossale.

Non è una giustificazione per l’hotel e per la clientela, ma una persona speciale ha diritto a spiegazioni e preparazioni speciali, sarebbe bello se non fosse necessario, ma lo è. Ce lo dice l’esperienza di tutti i giorni: se un negoziante, un passante, un impiegato, un albergatore hanno la possibilità di conoscere, di sapere, di comprendere, sarà più semplice costruire le condizioni di convivenza e crescerà la soglia di tolleranza.

È sempre facile trarre le conclusioni buone e giuste, in particolare quando si sta seduti comodamente sulla poltrona a soppesare il bene e il male, ma la linea di demarcazione non è così netta, così scontata, così buonista anche, mi permetto. La famiglia non può che avere quella reazione, andarsene indignata, l’albergo si rende conto di non aver risposto in modo rispettoso e allo stesso tempo di essersi trovato impreparato, non educato vorrei dire, chi apprende la notizia reagisce di pancia e assume lo schieramento più ovvio.

I clienti ora saranno imbarazzati, rileggeranno la loro posizione e cercheranno una giustificazione per la loro intolleranza, ma anche loro sono vittime dell’impreparazione, dell’educazione che non hanno e che nessuno ha potuto fornire nel caso specifico.

Perché a nessuno fa piacere trascorrere un pranzo o una cena, durante le proprie vacanze, con qualcuno che urla o in qualche modo disturba. Non si può dire, eppure tutti noi saremmo infastiditi, ma lo saremmo molto meno se avessimo la possibilità di essere preparati e se qualcuno ci spiegasse, ci aiutasse a comprendere.

Se poi si vuole cavalcare l’intolleranza, l’impazienza, l’egoismo dei tempi che corrono, io sottoscrivo, questi sono i tempi, ma una volta firmata la lettera con le rimostranze, l’unica cosa che serve è rimboccarsi le maniche e provare a cambiare la cultura di chi ci sta vicino, almeno di chi ci sta vicino e di chi conosciamo, porta a porta, uno dopo l’altro.

Altrimenti, passata la buriana, arriveranno presto altri alberghi, altri campi di gioco, altre scuole, altre vite che scorrono dietro il paravento, fino alla fine.

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