IL PATETICO GIRETTO DI TRUMP

di MARIO SCHIANI – “Il virus mi sfida. Pessima idea”, twittò Zlatan Ibrahimović e il tifoso milanista passò all’istante dalla depressione all’euforia: “Il nostro bomber gliene fa quattro al Covid, altro che Shamrock Rovers”.

Questo approccio “Coronavirus m’hai provocato me te magno” va diffondendosi tra vip e potenti anche più del virus medesimo: non c’è alcun riscontro scientifico sulla sua efficacia, ma da un punto di vista psicologico funziona ottimamente. A beneficiarne, attenzione, non è il malato, il quale se se la vuol cavare dovrà pur sempre fare affidamento sui dottori e sulle medicine oltre che, se credente, su qualche preghiera indirizzata lassù, bensì i suoi seguaci che si vedono rinfrancati nell’illusione delle qualità eccezionali millantate dal loro beniamino.

A questo approccio si è affidato, e non c’è da stupirsene, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump il quale, nonostante la conferma della positività al virus e il ricovero in un ospedale militare, ha voluto “farsi vedere” due volte, giusto per dimostrare che a lui il Covid gli fa un baffo: la prima, scravattato, in un video girato nell’ospedale stesso, la seconda in un’occasione ancora più pubblica, quella di un “giretto” in automobile. Ha salutato dal finestrino, il volto coperto dalla mascherina: un’esibizione francamente patetica, ma ritenuta indispensabile in queste settimane di campagna elettorale. Dopo tutto, alle elezioni presidenziali manca meno di un mese e non è certo il momento di tradire debolezze.

Questo perché, nella politica anno 2020, la debolezza non esiste. Evidentemente, il leader, o l’aspirante tale, costruisce la sua immagine sugli stessi modelli con cui, nell’antichità, sovrani e imperatori ammaliavano il popolino. Chiusi nei loro palazzi o lontani alla testa dei loro eserciti, lasciavano che le cronache si tramutassero in leggende e che si favoleggiasse sulla loro stessa natura, non di rado ritenuta sovrumana. L’unica differenza è che, oggi, il distacco mitico e la suggestione dell’occultamento non funzionano più. Per credere abbiamo bisogno di vedere: non importa cosa, ma qualcosa dobbiamo vedere. Ed ecco allora Trump farsi scarrozzare in un “giretto” del tutto inutile se non a suggerire, ma non dimostrare, che la situazione è “sotto controllo”.

Con i suoi toni da “faso tuto mi”, Trump è il rappresentante più in vista di questa scuola di pensiero (?) ma di certo non è l’unico. Nulla vieta di pensare che se il contagio fosse toccato al suo avversario Joe Biden avremmo assistito all’identica sceneggiata, con la differenza che quest’ultimo, semplice candidato, non avrebbe avuto sottomano i codici nucleari con cui trastullarsi sotto l’effetto di una chilata di paracetamolo.

Se pensate che questa negazione della malattia, prolungamento della negazione dell’umanità ultima del politico, sia piuttosto infantile, non vi sbagliate. Purtroppo, mentre tra gli individui si incontrano ancora tanti casi di maturità e perfino di saggezza, nella massa elettorale la “pancia” finisce per prevalere. E la “pancia” esige che il leader sia indistruttibile.

Questi atteggiamenti di pietosa esibizione di un io refrattario alla logica e alla vergogna, come il teflon lo è al grasso delle salsicce, vengono sottolineati e derisi da tanta buona letteratura, ma per il sottoscritto la corrispondenza più evidente, anche se meno nobile, è quella con un personaggio creato per un lontano programma radiofonico, “Alto gradimento”. Rimpallato tra le ironie di Arbore e Boncompagni, Franco Bracardi interpretava il camerata Catenacci, un nostalgico tanto stentoreo quanto ottuso che non perdeva occasione per esaltare le “imprese” del suo Duce: quattro volte di fila l’attraversamento dello Stretto e il corpo a corpo con un’enorme piovra, l’auto-operazione all’appendice sotto una pioggia di bombe, il paracarro da 80 chili sbriciolato per impressionare l’ambasciatore francese. “E Duce di qua e Duce di là e Duce di sopra e Duce di sotto” era l’immancabile ed entusiastico commento dei presenti.

Possiamo solo immaginare come Catenacci avrebbe raccontato il confronto tra Mussolini e il Covid, ma di certo la gitarella di Trump ne sarebbe uscita umiliata. E noi, invece di sentirci un poco depressi nel riflettere sulle sorti del mondo, ci saremmo fatti quattro risate. Quelle sì terapeutiche.

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