IL PASSAGGIO SBAGLIATO DI RIVERA

E, nei supplementari, Gianni Rivera. Improvvisa e imprevista apparizione dell’ex bambino d’oro del calcio italiano, un alessandrino di rare parole in opposizione alla sua classe aperta.

Doppia intervista, strana per dire, ai fogli di Urbano Cairo, con una dichiarazione clamorosa: Rivera torna in campo, come allenatore del Bari, forse, comunque a capo di un cordata di imprenditori che vorrebbero rilevare il club da De Laurentiis, o altro in serie A.

Quando sento e leggo di “cordata” vengo preso da orchite, non si registrano casi di cordate vincenti, a parte quelle alpinistiche ben più rischiose di certi maneggi affaristici. Ma ritorno a Gianni Rivera detto ‘l bambin da Nereo Rocco; Rivera ha annunciato il rientro nel calcio abbandonato per mire politiche, abbastanza mediocri per ruoli, compiti e scelte di partito.

Il diciotto di agosto prossimo venturo il bambin compirà anni ottanta e ci si aspettava un epico riassunto delle sue carriera ed esistenza, memorie di titoli e partite e avversari e arbitri e giornalisti. Brera lo definì abatino e fu un marchio sulla pelle fine dell’artista mandrogno. Rivera, nelle due interviste, spiega che questo football non gli garba per quei passaggi arretrati (come ha ragione!) e che lui, in questo gioco, avrebbe ancora un perché. Concede anche un passaggio su Berlusconi che lo eliminò dal museo rossonero e conferma di non avere mai condiviso le idee del presidente e di essere, dopo la scomparsa, addolorato per i figli.

Parole brevi sull’Inter ma acqua tiepida perché Gianni Rivera era così anche da calciatore, si faceva intervistare sul tram da Beppe Viola, realizzava il 4 a 3 alla Germania, giocava i sei minuti storici contro il Brasile, inciampava sul prato di Stoccarda, scampava allo scandalo delle scommesse, a seguire il silenzio totale su qualunque vicende di football, isolamento e solitudine secondo educazione e carattere, anche le due interviste confermano il concetto, uno come Gianni merita altro ma dovrebbe meritarselo in altro modo, alzando la testa come sapeva fare per lanciare imprevedibilmente un compagno di squadra, e invece ha scelto l’ombra, al massimo le luci di posizione, rarissimo tra i campioni, anzi tra i fuoriclasse, tribù alla quale appartiene Rivera. Alla prossima, magari, forse, chissà.

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