IL NUOVO STATUS SYMBOL DELLA FRANCIA: IL FIGLIO GENIALOIDE

Forse, i più generosi tra voi ricorderanno la mia modestissima crociata contro l’accanimento diagnostico, relativo ai DSA: gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento. Io sostenevo che, nel mondo della scuola, non lasciare per strada nessuno è cosa buona e giusta, ma che, al contrario, è cosa pessima e del tutto ingiusta sacrificare il potenziale degli eccellenti, costringendoli a ripetere per mesi le stesse cose, finchè anche il più somaro dei somari le abbia metabolizzate. Mi schieravo, insomma, dalla parte dei bravi, immaginando la loro suprema noia, la loro frustrazione, nel vedere che, alla fine, di riffa o di raffa, passano tutti.

Ora, pare che in Francia le cose vadano esattamente al contrario: che ci sia una spasmodica ricerca dell’eccezionalità cognitiva, tanto che è diventato raro trovare uno studente che non si sia sottoposto al test per stabilire l’HPI, l’Haut Potentiel Intellectuel, che divide i piccoli geni da quelli tristemente normali. Certo, la Francia è avanti anni luce rispetto a noi, che siamo ancora fermi al cognitivismo: loro hanno la Défense e noi l’INVALSI, così per dire. Però, pare che anche loro svagellino un tantino, che la cosa abbia assunto carattere di moda del momento, così accentuato da suscitare le prime ironie, le prime battute pungenti sui quotidiani di maggior diffusione. Come dire che, se Atene piange, Sparta non ride.

La caccia alla certificazione HPI non è fine a se stessa, naturalmente: ci sta una buona parte di orgoglio parentale, mosso dalla soddisfazione di avere in casa un piccolo Blaise Pascal. Ma ci sta soprattutto il fatto che, in questo mondo, dominato dalla statistica e dai numeri, un quoziente intellettivo (che, intendiamoci, di per sé significa poco o niente, rispetto alla realizzazione educativa e culturale di un individuo) oltre i 130 punti garantisce il lasciapassare per un’istruzione di alto livello: i migliori licei e le migliori università sono, di fatto, preclusi a chi non possieda l’ambita certificazione. Che è ambita, per una banale legge di mercato, perché i fortunati genietti non sono più del 3% della popolazione scolastica: un po’ come funziona per i diamanti, che, se fossero comuni, non varrebbero un tubo.

Solo che, se gli eletti sono pochi, gli aspiranti sono, viceversa, moltissimi: ed è una caccia al certificato, una corsa al test, un’ossessiva preparazione alla prova certificante. E, nei ragazzini, un po’ alla volta, viene instillata quest’idea malsana della straordinarietà come unità di misura del proprio valore: vali soltanto se sei superiore alla media. Il che, lo capirete anche voi, non si può dare: la media si chiama media proprio perché ingloba la grande zona grigia dell’umanità. E l’intelligenza non si compra al mercato, ammesso che l’intelligenza, da sola, basti a renderti un buon professionista, un buon manager o, meglio ancora, un buonuomo. Quindi, quest’isteria collettiva rischia di fare danni mica da ridere, tra i giovani francesi, impegnati in questa lotta al coltello per essere classificati HPI.

Come ponevo, dunque, la questione del rapporto tra la programmazione per i DSA e quella per gli studenti bravini, bravi o bravissimi, così pongo la stessa questione nel rapporto tra questi cervelloni, veri o presunti, e il resto della popolazione scolastica: possibile che solo i superdotati possano accedere a certe scuole, a certi atenei, a certe prospettive future? E, del pari, possono esistere così tanti HPI come ne desidererebbe l’opinione pubblica? Mi pare che si passi da un eccesso all’altro: come se, in un Paese, esistessero soltanto treni che vanno a 600 all’ora e littorine degli anni Trenta. Ci sarà pure una via di mezzo, in queste ossessioni didattiche, che diventano fattori di autentica discriminazione, con una ricaduta anche nella psicologia sociale, quando non nella società tout court.

Fatto sì è che, se da noi ci si incista sugli ultimi e si creano, per loro, pause didattiche e recuperi emboités uno nell’altro, come Matrioske, oltre le Alpi, invece, pare che, tra gli studenti, debbano esistere soltanto fenomeni e che quelli normali debbano accontentarsi delle briciole. E meno male che, sulla bandiera, hanno scritto: “Egalité”!

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