IL BECKENBAUER DI DAMASCELLI

Ma chi sei, Beckenbauer? Capivi in secondi uno che Franz era una leggenda al punto che chiunque provasse a fare il fenomeno con il pallone doveva fare i conti con lui, il Kaiser autentico. Lo ribattezzarono così i tedeschi quando i fotografi scattarono l’immagine emblematica in un hotel di Colonia, c’era il busto di Kaiser Franz Joseph e di fianco si appostò Kaiser Franz, due leggende in una, il gioco e la storia erano completi.

Franz Beckenbauer ha concluso la sua vita dopo settantotto anni vissuti come soltanto i campioni sanno, pure entrando nel buio di storie aspre e di tragedie, la perdita del figlio per un tumore al cervello, tre matrimoni, cinque figli, otto nipoti, guai seri con il fisco, la fuga al Cosmos di New York, titoli e glorie nazionali, continentali, mondiali.

Beckenbauer è stato la Germania, del fussball, della Baviera, nessun altro ha rappresentato il calcio tedesco come lui ha saputo fare, per eleganza, stile, rispetto del gioco e dell’avversario. Aveva l’arte del direttore d’orchestra, intuiva l’azione prima che gli altri avvertissero la traiettoria, giocò da difensore e poi da libero, il ruolo smarrito per altre funzioni contemporanee non meglio identificate, toccava il pallone di destro e poteva calciare di sinistro, attorno gli ronzavano compagni e avversari a volte smarriti da tanto censo tecnico, tra i mille fotogrammi della sua carriera resta quello, quasi mitologico, della semifinale mondiale in Messico, Italia-Germania quattro a tre.

Al minuto 65 Beckenbauer, dopo un contrasto di gioco, finì come sgonfio sul prato dell’Azteca, il massaggiatore e il medico gli dissero che la scapola era lussata, doveva abbandonare il campo. Schon, il rude allenatore tedesco, aveva già effettuato due cambi, Libuda e Held, dunque il kaiser decise di tornare in gioco, si fece legare con due fasce il braccio alla spalla, le bende coprivano appena la maglia numero 4, prese a correre e a calciare tenendo stretto il braccio al petto, come un eroe di guerra, sembrò che gli azzurri si tenessero inconsciamente a distanza dal ferito.

Era, quella, l’immagine del fuoriclasse, irripetibile, poi confortata dalle vittorie come calciatore e allenatore, con il Bayern, i Cosmos, l’Olympique di Marsiglia, la nazionale, vincendo tutto, titoli nazionali e mondiali, compresi due palloni d’oro. Dietro la gloria anche le ombre di guai legali, tasse non versate, emolumenti poco chiari, scandali per l’organizzazione del mondiale del 2006, gaffe diplomatiche in Qatar, “non ho visto schiavi laggiù..”.

La tragedia del figlio, nel duemila e quindici, segnò l’inizio della fine, due profondi colpi al cuore, un infarto all’occhio destro, la luce lentamente stava spegnendosi, ultimi giorni di silenzio sofferto, nella dimora di Salisburgo.

Der Kaiser ist tot, il Kaiser è morto, ha titolato la Bild. Quattro parole per raccontare una storia che non finirà mai.

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