di GHERARDO MAGRI – “Asintomatico” è una parola che abbiamo dovuto aggiungere al nostro vocabolario quest’anno, obtorto collo. Sei uno che non presenti sintomi, all’apparenza sei perfetto, ma diffondi le malattie che è un piacere. Magari sei un super diffusore. Senza manco accorgertene.
Nelle aziende ce ne sono in giro ancora tanti, a modo loro. Formalmente integri e irreprensibili, sotto mentite spoglie corrodono a fondo il sistema. Me ne vengono subito in mente almeno tre categorie.
A-romantici. Rappresentano la specie potenzialmente più pericolosa. Sono partecipativi e mostrano interesse alle attività in corso ma, quando fiutano il momento giusto, sono sempre pronti a buttare lì la loro tipica frasetta “sì, può essere una cosa interessante, ma tanto qui le cose non cambieranno mai. Credetemi, io ho una bella esperienza”. Un’affermazione del genere è capace di gelare entusiasmi sfrenati e di bloccare tutte le prossime mosse. Passano per saggi e profondi conoscitori dell’azienda e delle vicende umane. Mettono gli altri nella condizione psicologica di sentirsi patetici e illusi. Il loro luogo preferito è la macchinetta del caffè, il loro tempo ideale è a fine riunione, quando si devono riassumere i punti e scrivere la lista delle azioni. Dei veri cobra dal sorriso sardonico.
A-essenziali. Per loro questo non è mai il punto, è sempre un altro. Affabulatori appassionati, vogliono dimostrare in ogni dove che sono bravi ad avere la visione complessiva del mondo, mettendo sul tavolo una quantità sbalorditiva di varianti e punti di vista. Più sviano, più si sentono intelligenti, perché capaci di aver messo in luce qualcosa che nessuno aveva notato. Si cibano delle loro parole e di ipotesi assurde e conturbanti, che ci azzeccano poco con il tema trattato. Terreno fertile dove si esprimono al meglio è durante la definizione degli obiettivi e delle priorità. Molto bravi anche nella fase del brainstorming: ti possono condurre dove vogliono, girando a vuoto per ore. Passano per simpatici, arguti e creativi.
A-decisionali. Il classico cliché che meglio li definisce è rispondere a una domanda con un’altra domanda. Atteggiamento che, se portato all’estremo, impantana le organizzazioni in modo grave. Perché una cascata di domande simile non ti dà la possibilità di rispondere in modo efficace e dilata i tempi all’infinito. Il fascino sinistro di porsi quesiti a ripetizione accresce la loro fama di intellettuali e di fini pensatori, tanto da avere timore a interromperli, così presi da ondate tumultuose di dubbi esistenziali e operativi. Un danno collaterale importante che possono provocare è lo smodato richiamo dell’interventista di turno che, con pugno duro, pone fine a questo stallo prendendo decisioni magari avventate.
Qual è il vaccino giusto per gli asintomatici aziendali di questo tipo? Innanzitutto bisogna identificarli bene, conoscendo a fondo l’organizzazione. Poi, è necessario saper contrapporre a queste figure altri profili con caratteristiche diametralmente opposte, che riescano a neutralizzarli e farli sentire isolati. Fase finale: tentativo di conversione, oppure chiarimenti definitivi tra le parti. Intendiamoci: sono dinamiche che accadono spesso in modo naturale, il punto di svolta è essere in grado di guidarle.
La vera soluzione è, però, un’altra, più a lungo termine e che contraddistingue le società eccellenti. Creare la condizione ideale in cui tutti possano sentirsi serenamente “sintomatici” e cioè essere conosciuti per ciò che si è: con una personalità netta, esprimendo idee chiare ed esplicitamente, facendo sparire le ambiguità. Le discussioni si concentreranno allora sempre e solo sui contenuti e ognuno saprà con certezza con chi ha che fare. Finalmente. Senza aspettare la scoperta del vaccino.