NO, LO SPORT PIU’ PERICOLOSO NON E’ LA F.1

di SILVIO MARTINELLO (oro olimpico Atlanta 96) – Verso la fine degli anni ‘90 le istituzioni sportive nazionali lanciarono il progetto “Io non rischio la salute”, con la finalità di arginare il dilagare delle pratiche dopanti, contro le quali non esisteva ancora un metodo efficace di contrasto.

Da allora sono stati fatti notevoli passi in avanti, sottovalutando, tuttavia, altri ambiti che hanno a che fare con la sicurezza e la salute dei corridori. Chi gestisce un’attività o un’azienda conosce benissimo le rigide regole che riguardano la sicurezza sul lavoro. Cito testualmente da Wikipedia: sicurezza sul lavoro riguarda l’insieme delle misure preventive e protettive da adottare per gestire al meglio la salute, la sicurezza e il benessere dei lavoratori, in modo da evitare o ridurre al minimo possibile l’esposizione dei lavoratori ai rischi connessi all’attività lavorativa, riducendo o eliminando gli infortuni e le malattie professionali. Ed ancora: In base alle leggi più generali i datori di lavoro hanno il dovere di prendersi ragionevolmente cura della sicurezza dei loro dipendenti.

Ora trasliamo queste righe sull’attività di un corridore professionista, che ha gli stessi diritti garantiti a tutte le altre tipologie di lavoratori. Chiunque segua il ciclismo avrà certamente visto cosa è accaduto al Giro di Polonia (VIDEO ALLEGATO), con la terribile caduta durante lo sprint al termine della prima tappa; al netto della grave scorrettezza – da castigare severamente – perpetrata da Groenewegen ai danni di Jakobsen (in condizioni gravissime all’ospedale), il vero disastro e le conseguenze che ci potrebbero essere per gli sfortunati rimasti coinvolti, è da ricercare nelle caratteristiche e nell’allestimento per la sicurezza del rettilineo del traguardo, con transenne che sono saltate come birilli nell’impatto con il povero Jakobsen, e che rimbalzando come schegge impazzite sulla strada hanno causato gravi danni anche ad altri corridori.

L’ente che gestisce il movimento non può più permettersi di tergiversare, sul tema della sicurezza si è tentennato fin troppo. Il ciclismo è già di per sé una disciplina pericolosa; si pratica sulle strade, ad alte velocità, con mezzi sempre più performanti, senza protezioni, a parte un leggero casco che non sempre risulta sufficiente, con il pubblico spesso indisciplinato che vuole toccare i corridori causando seri rischi. Ricordo ai distratti solo i fatti più recenti: Mont Ventoux 2016 ed Alpe d’Huez 2018, con estranei che abbattono corridori, Nibali tra questi.

In discipline ritenute giustamente pericolose, pensiamo all’automobilismo ed al motociclismo, si sono costituite commissioni formate da esperti che valutano la pericolosità dei tracciati ed impongono le eventuali modifiche; è giunto il momento anche nel ciclismo per questo genere di soluzione. Soluzione che deve essere imposta ai vari organizzatori prima di autorizzare una manifestazione, grande o piccola essa sia. Vanno valutati percorso ed allestimenti per la messa in sicurezza. La salute e l’integrità degli atleti devono avere la precedenza su ogni altro aspetto. Non possono esistere giustificazioni di natura economica o di qualsiasi altro genere, meglio rinunciare a qualche evento che piangere qualcuno.

Insisto su un altro punto che più volte ho sottolineato nei miei approfondimenti; nelle commissioni di verifica del percorso, della qualità degli allestimenti di sicurezza, ed anche nelle valutazioni dei comportamenti degli atleti, pensiamo ad uno sprint di gruppo, devono essere inseriti ex corridori debitamente formati, che conoscano le dinamiche e che abbiano il necessario bagaglio di esperienza per saper valutare i veri pericoli ed i comportamenti dei corridori stessi. Tali commissioni ed i collegi di giuria sono composti da appassionati che, seppur formati, le vere dinamiche di un gruppo non le hanno mai vissute sulla propria pelle. Rispettosamente continuo a sostenere che non possiedono gli elementi per valutare con la necessaria competenza.

Ho preso spunto da quanto accaduto al Giro di Polonia, ma i concetti e le relative azioni vanno allargate anche a livello giovanile. La tragica scomparsa di Giovanni Iannelli, il 5 ottobre del 2019, caduto violentemente contro un pilone di cemento mentre era impegnato nello sprint finale di una manifestazione in provincia di Alessandria, impone necessarie riflessioni sull’esistenza di troppa superficialità e scarsa competenza, tragedie di tale portata non sono tollerabili. Per familiari ed amici non è umanamente possibile elaborare compiutamente il lutto dopo una morte avvenuta in questo modo. E l’intero movimento ciclistico si pone nelle condizioni di mettere a serio rischio la propria stessa sopravvivenza.

 

Un pensiero su “NO, LO SPORT PIU’ PERICOLOSO NON E’ LA F.1

  1. Fiorenzo Alessi dice:

    Caro SILVIO MARTINELLO,
    non ce n’è bisogno, ma s’impongono un BRAVO ed un GRAZIE.
    Spiego perché BRAVO.
    In tempi in cui i termini elogiativi si sprecano , con svendite a super saldi, reputo doveroso un apprezzamento per le tue argomentate e ponderate parole sul delicato tema della sicurezza nelle competizioni Ciclistiche.
    Non solo Professionistiche , ma parimenti in ambito dilettantistico o “giovanile” che dir si voglia.
    Per chiarire : allorché si ha riguardo all’approntamento di ogni misura , sia regolamentare che “pratica”, volta a prevenire il verificarsi di situazioni ed eventi in danno dei Corridori , veramente LA LEGGE DEVE ESSERE UGUALE PER TUTTI.
    Ed ecco perché GRAZIE.
    Indicativo di questa ovvia esigenza è il tuo accostare allo scampato pericolo dell’olandese Jakobsen “coinvolto” ( si fa per dire…meglio sarebbe “tirato giù!”) nella caduta in un piratesco sprint al termine di una recente tappa al Tour de Pologne la diversa ed infausta sorte toccata invece nell’ottobre 2019 al giovane Under23 GIOVANNI IANNELLI nella volata conclusiva di una competizione dilettantistica in provincia di Alessandria.
    Va detto , ad ulteriore riprova della tua specifica competenza …per meriti e Titoli conquistati sia su strada che su pista, che la tua autorevole voce è tra le poche che ho sentito levarsi, con determinazione del tutto condivisibile, a conforto ed a supporto di quanto la famiglia di Giovanni, …”a tirare” papà Carlo, sta da mesi cercando di perseguire: solo la verità sui fatti , con l’ovvia attribuzione di responsabilità in capo a chi avesse concorso a cagionare la morte di Giovanni per condotte gravemente colpose nella gestione organizzativa soprattutto delle fasi terminali della competizione “maledetta”.
    A pensarci bene, ben vengano considerazioni come le tue , caro Silvio : la comprensibile e legittima pretesa di …AVERE GIUSTIZIA per Giovanni ha difficoltà tali da poter tranquillamente essere equiparata ad una VOLATA “giudiziale” .
    Avere l’ausilio di un APRIPISTA come l’Olimpionico MARTINELLO può contribuire a determinarne gli esiti.
    Cordialmente.
    Fiorenzo Alessi

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