I SEMI VALGONO PIU’ DEI DIAMANTI: IMPARIAMO DALLA CINA COME DIFENDERLI

Domenica scorsa, durante una sua visita al Laboratorio Sperimentale per le Sementi della Baia di Yazhou nella città di Sanya, ad Hainan, il leader cinese Xi Jinping ha dichiarato: “Solo tenendo saldamente in mano i semi cinesi possiamo tenere saldamente la nostra ciotola di riso”.

Una prova ulteriore, ove ce ne fosse bisogno, dell’attenzione che la Cina pone sul problema della sicurezza alimentare, ovvero la capacità di un popolo di provvedere al suo approvvigionamento alimentare e idrico.

Il plenipotenziario cinese ha inoltre sottolineato che l’industria sementiera è strategica per la politica cinese, lodando contemporaneamente il lavoro dei ricercatori del suo Paese che “hanno affilato la spada per dieci anni e lavorato sodo per lungo tempo”.

Queste perentorie dichiarazioni dovrebbero far salire ulteriormente il livello di attenzione su un settore, quello agricolo/sementiero, che raramente trova spazio nel dibattito politico. Nel nostro, intendo.

Eppure, qualcosa si è già mossa.

Nell’ottobre scorso, per la prima volta nella storia del settore agroalimentare, il governo italiano ha esercitato il potere di veto della golden power per bloccare l’acquisto da parte di Syngenta Crop Protection Ag (una multinazionale cinese), dell’intero capitale di Verisem B.V., un’importante e storica realtà sementiera italiana, e delle sue controllate.

Syngenta è una multinazionale del settore dell’agro-industria, prima di proprietà svizzera e successivamente acquisita per 43 miliardi di dollari dal colosso cinese ChemChina.

Con il fallimento di questa vendita è stata sventata la cessione (l’ennesima) a un paese straniero di una parte significativa del patrimonio genetico nazionale, fatto di sementi conservate da generazioni di agricoltori.

L’acquisizione di Verisem avrebbe spostato in Asia gli equilibri strategici mondiali sul controllo delle sementi per la produzione di ortaggi ed erbe aromatiche, aggravando una situazione in cui già 2 semi su 3 (66%) sono in mano a quattro multinazionali straniere.

Queste notizie fanno il paio con un articolo pubblicato lo scorso 11 aprile dalla testata cinese “South China Morning Post” dal titolo ‘China accelerates inward economic pivot with plan to create a ‘unified domestic market’, che preannuncia la creazione di un mercato interno cinese unificato, altamente efficiente e basato su regole, che secondo gli analisti mirano a contrastare la produzione frammentata e l’uso delle risorse alimentari.

L’intenzione è quella di creare un mercato che faccia affidamento sulla domanda interna, affrancandosi gradualmente da quella estera.

La strategia mira a promuovere sistemi di produzione, distribuzione, circolazione e consumo più efficienti, rendendo la Cina una calamita ancora più grande per le aziende e gli investimenti globali.

La pubblicazione di questo articolo coincide con l’inizio di lockdown molto severi a Shanghai e in altre città cinesi e con l’invasione russa dell’Ucraina, che esercita un significativo peso sulla catena di approvvigionamento globale, con la conseguente salita dei prezzi di materie prime come cibo, energia e fertilizzanti.

La Cina conta circa 800 milioni di abitanti che risiedono nelle campagne, circa il 60% della popolazione, che dovrebbero provvedere al sostentamento di una popolazione che si appresta a toccare un miliardo e mezzo di persone.

La sicurezza alimentare è stata sempre in cima alla strategia politica delle autorità cinesi.

Gran parte delle rivoluzioni accadute nel passato, che hanno portato a un ribaltamento dei governi in carica, hanno preso spunto dalla mancanza di cibo.

La corsa all’accumulo di cereali registrata sin dall’anno scorso è il segnale tangibile di un’aumentata attenzione a queste problematiche, probabilmente dettata da una visione attenta e informata sui disastri che sarebbero occorsi di lì a poco.

In Europa, invece, si va avanti a tentoni, rincorrendo scompostamente le emergenze che si presentano ormai quotidianamente.

Fanno tenerezza le recenti dichiarazioni di alcuni esponenti di sigle sindacali che improvvisamente scoprono l’importanza dell’agricoltura, propinando improbabili ricette per la soluzione di problemi che invece richiedono preparazione e conoscenza del settore.

Ma cosa si pretende di più da un Paese che ha affidato il Ministero delle Politiche Agricole a un ingegnere di Trieste, che ha vissuto con il mare davanti a se e le montagne dietro (ctz. G. Li Rosi).

E che probabilmente metterà piede in campagna, anche per quest’anno, solo a Pasquetta.

 

 

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