IL SEGNO DELLA CROCE

Se Gesù non fosse stato condannato alla crocefissione, se fosse morto, tranquillamente, di vecchiaia, a casa sua, la fede del credente cristiano sarebbe diversa?

Me lo sono chiesto molte volte. Non mi è sempre risultato facile rispondere. Ma, alla fine, mi sembra che una morte siffatta sarebbe stata sempre, comunque, la morte del Figlio di Dio. Anche in quel caso avremmo potuto – dovuto, anzi – dire quello che un’antica tradizione teologica ha detto di Gesù: unus de Trinitate passus est, “Uno della Trinità ha sofferto”, non solo, ma è morto. La morte del Figlio di Dio avrebbe mantenuto intatto il suo fascino drammatico, il suo “scandalo”.

La croce ha aggiunto al dramma del morire, il dramma ulteriore del modo di morire. “Quando l’ebbero crocifisso”, “lo crocifiggono”, raccontano i vangeli di Matteo e di Marco. Non dicono nulla, di fatto. Una reticenza di linguaggio che, in realtà, dice molto: dice l’orrore di fronte alla morte più vergognosa, la più obbrobriosa conosciuta dall’antichità occidentale, la morte dei ribelli politici e degli schiavi. Con tutte le sue componenti: la messa in scena pubblica, la nudità, gli insulti… All’uomo del Golgota non è mancato nulla della morte, neppure l’angoscia e la vergogna. Non si è limitato a morire, è morto male e la sua morte è diventata l’esasperazione della morte.

Per questo il Crocifisso (con la “C” maiuscola) è diventato l’immagine compiuta e convincente di tutti i crocifissi (quelli con la “c” minuscola). Si può dire in effetti che l’evento del Golgota fa incrociare due sguardi. Dal Golgota si può guardare a quello che capita nella città che sta ai suoi piedi. E si vedono tutti quelli che muoiono come quel condannato. Oppure dalla città si può guardare al Golgota e scovare sul volto di quel morente una qualche ragione per sperare per tutti gli altri condannati.

L’Ucraina, in queste settimane, è stata uno sconfortante spettacolo di morte. È stato lo sguardo dall’alto. La città, le sue case sventrate, i suoi cadaveri buttati in mezzo alle strade. In questi giorni alcuni che portano in cuore la memoria del morente del Golgota cercano di girarsi e di guardare al Golgota, dove è piantata la croce di quel morente: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”, dicono le Scritture. Guardano a lui per non perdere tutte le speranze, per sé e per quelli che la ferocia degli uomini ha buttato fuori delle proprie case e schiacciato con i propri carrarmati.

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