GRAZIE CORTELLESI, HO RIVISSUTO LA ROMA DELLE MIE NOSTALGIE

Dati gli osanna sperticati, i record di incassi, le celebrazioni reiterate, le recensioni entusiaste, prima di andare a vedere “C’è ancora domani” con e di Paola Cortellesi, ho fatto una cosa che non faccio mai: scelta una critica feroce contro di lei e la sua pellicola, me la sono letta. Nonostante una passione sanguigna per il cinema, confesso la mia micro cultura di fronte a paragoni, paralleli, confronti con il neorealismo, Anna Magnani, Pasolini, il messaggio femminista…

Così ho azzerato pregiudizi ed emozioni e me ne sono andato al cinema con amici. Dalle prime scene, dalle prime battute, ho provato una struggente nostalgia. Di nuovo torno a evocare mio padre (romano da otto generazioni, era del ‘33). Entrato in bianco e nero in quei cortili dei palazzi popolari della capitale nell’immediato dopo guerra, ascoltando le ciarle di quelle comari sedute su sedie appoggiate sul cemento, entrando in quelle case, andando al mercato, vivendo quelle scene di sopraffazione del marito padrone sulla moglie dimessa e remissiva, ho rivissuto i racconti di papà, dei miei zii, di mia nonna.

Prima di entrare nelle pieghe della trama e del messaggio, di una regia meticolosa, delicata, virtuosa, una recitazione per me superba di Mastandrea (che non ho sempre amato) ed Emanuela Fanelli, sono stato rapito proprio da quell’aspetto: la Cortellesi ha ricostruito mille mie serate ad ascoltare le narrazioni di Roma che si rialzava dalle macerie, l’atmosfera vissuta ad occhi aperti, personaggi truci e virtuosi che alla fine mi è sembrato persino di conoscere. Li ho incontrati e conosciuti in questo film forse più che in ogni altro, perché anche per me Pasolini, Germi, De Sica, i ladri di biciclette, sono ormai troppo lontani per paragonarli.

Che significa scimmiottare o replicare o ambire a…? La Cortellesi è credibile sia come attrice sia come regista, ed essendo partita da comica, è tutto ancor più sorprendente e coinvolgente. Dopo “Il
padrino” avremmo dovuto cestinare qualsiasi altro film di genere dei mafiosi italiani in America? (Faccio un esempio). Ci saremmo persi altri capolavori, a partire dal Padrino II.

Paola, che ho avuto l’onore, il piacere di intervistare nei camerini di “Zelig”, ha la fortuna di centrare il tema della moglie e madre sopraffatta dalla violenza coniugale in un periodo di fermento sul tema. Non è fortuna e non è un periodo: lei si batte su questo tema da anni e l’argomento non è nato con la povera storia di Giulietta Cecchettin. Dietro l’angolo c’è la speranza del riscatto in un voto politico, ed è questa la vera beffa che si perpetra da decenni in Italia.

Voto al film: altissimo. Perché non è un film, è vita. Non è neorealismo: è realismo. Punto.

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