LA GRANDE STORIA DEGLI “SCARROZZATI”

di LUCA SERAFINI – RSA è diventata in questi mesi una sigla lugubre: Residenza Sanitaria Anziani ci suona come l’indirizzo di qualche lager dove i nostri nonni sono stati lasciati morire scientemente. Parliamo allora di RSD: Residenza Sanitaria Disabili. In particolare, quella di Inzago alle porte di Milano, gestita dalla “Fondazione Sacra Famiglia”: 49 posti tutti occupati, lunga lista d’attesa, una cinquantina di volontari. Ha chiuso le porte a visite di parenti, amici e ospiti a fine febbraio. Nessuna decisione ancora sulla riapertura: sarà prudente e graduale, diluita nel tempo, due o tre settimane ancora.

La gioia: nessun caso di Covid19. Nessuno. La tristezza: sono rimasti tutti chiusi là dentro, volontari e pazienti. Con mascherine e guanti, come sempre. La distanza sociale non è possibile: ognuno degli ospiti ha bisogno di essere aiutato a muoversi, per fare qualsiasi minima cosa. Mangiare, lavarsi, vestirsi, tanto per cominciare.

C’è il capitolo terzo, infine, per certi versi quello più importante: la malinconia. “Gli scarrozzati” non potranno più esibirsi per molto tempo nei teatri della provincia, dove c’è il tutto esaurito ogni volta che va in scena il loro spettacolo. Sulle loro sedie a rotelle, “Gli scarrozzati” cantano, suonano, ballano con parrucche colorate e occhiali da sole. Recitano. Testi umoristici, brani famosi. Negli anni a Inzago hanno ricevuto le visite di personaggi come Claudio Bisio, Ale e Franz, Ugo Conti, Gianni Morandi, Filippo Galli, Evaristo Beccalossi, Cristina Chiabotto, Emiliano Mondonico e moltissimi giornalisti e giornaliste sportivi. Perché tra di loro ci sono tifosi sfegatati, del calcio e dello sport. Come la juventina Salvina Candarella, 52 anni, da 13 in lotta contro la SLA, cioè da quando il primogenito aveva 5 anni e il secondo soltanto uno. Riceveva ogni giorno la visita del marito, dei suoi figli e di sua mamma. In questi 13 anni ha scritto due libri sulla sua vita, com’era e com’è. Sarà la sua eredità.

Quella che non ha mai smesso di fare durante il lockdown è stato comunicare tramite social, mail, attraverso un sintetizzatore vocale che aziona con il controllo visivo degli occhi: la malattia le ha tolto praticamente tutto ma non le ha spento il cervello. Fa parte degli “Scarrozzati”, recita sul palco e nei video con una voce esterna, partecipa praticamente a tutte le iniziative della struttura e, compatibilmente con le sue condizioni di salute, anche a quelle esterne (via radio). In queste settimane, Salvina Candarella ci ha offerto l’ultima prova del suo coraggio e della sua forza, cose che niente e nessuno potranno mai imprigionare.

«Questo periodo mi sta mettendo a dura prova, già sono 13 anni che vivo in isolamento interno, perché avere che fare con la ‘Stronza’ ti porta inesorabilmente a chiuderti in te stessa. Con il Coronavirus è arrivato anche l’isolamento esterno, la parte peggiore: non avere il contatto fisico con i miei affetti è come non avere quella linfa vitale che ti dà la forza di combattere tutti i giorni per andare avanti… Fortunatamente ho avuto la possibilità di passare quelle poche ore che sono sulla bascula, con Paolo, il volontario che è diventato il mio badante non retribuito, il quale cerca in tutti i modi di inventarsi qualcosa per riempire i buchi. Mi dà sempre qualcosa da fare anche quando non possiamo stare insieme, per esempio cercare e poi trascrivere barzellette per le dirette Facebook, fare dei doppiaggi spiritosi di un pezzettino di film famosi, o buttar giù delle domande per le nostre interviste interne, fino a quando non potranno ritornare i personaggi che ci vengono a trovare. Tutto questo mi rende le giornate un pochino meno pesanti. E poi ci sono anche gli amici di sempre e quelli nuovi, che mi tengono compagnia con messaggi e mail. E poi, sempre grazie a Paolo, le videochiamate per poter vedere le facce di coloro che mi mancano. I momenti peggiori sono i weekend, se non altro (quando il tempo lo permette) stiamo molte ore in terrazza all’aria aperta. Speriamo di poter uscire presto da questo incubo, perché ho voglia di rivedere e stare con le persone che amo».

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